moiraDello studio indipendente inglese inkle ho adorato Heaven’s Vault – uscito nel 2019: non ha caso ne ho scritto una recensione; un post sul blog comparando l’immaginario linguaggio da decifrare al Bliss, uno dei sistemi simbolici ideati per aiutare la lettura e la comunicazione delle persone con bisogni comunicativi complessi; infine un’intervista ad uno dei creatori del gioco – Jon Ingold – pubblicata su AIB notizie. Fondamentalmente Heaven’s Vault aveva un duplice motore di gameplay: da un lato l’avventura che ci spingeva ad esplorare per scoprire il mistero di una scomparsa civiltà e dall’altro il tentativo di decifrare il linguaggio di questa civiltà dai frammenti di testo presenti su oggetti di quella civiltà che recuperavamo durante la nostra esplorazione. Il tutto accompagnato dalla stupendamente evocativa colonna sonora di Laurence Chapman. Dopo Heaven’s Vault ci sono stati altri giochi (Pendragon nel 2020 e Overboard nel 2021) ma nessuno di essi mi ha intrigato. Cosa che ha fatto invece l’ultimo gioco di inkle pubblicato lo scorso dicembre su Steam e Nintendo Switch: A Highland Song.

Certo, soprattutto dal punto di vista del gameplay, A Highland Song non è un gioco complesso e affascinante come Heaven’s Vault. Qui il motore fondamentale è uno solo: trovare i passaggi tra le varie catene montuose delle Highland scozzesi per riuscire ad arrivare al mare in tempo. I passaggi possono essere trovate sia mediante l’esplorazione, sia mediante l’esame di frammenti di mappe che troviamo lungo il percorso, sia infine mediante l’interazione con determinati elementi/oggetti/personaggi che incontreremo. Ad aggiungere varietà al gameplay, quando incontriamo un cervo, potremo fare assieme a lui una corsa per i pendii che si trasforma in un rythm game a base di gighe e di ballate scozzesi, anche qui curate da Laurence Chapman. Ma in realtà la bellezza di A Highland Song non sta nel gameplay quanto nelle ambientazioni: quella musicale, quella visuale e – soprattutto – quella narrativa. Relativamente a quella musicale abbiamo già detto del ritorno di Chapman: se in Heaven’s Vault la sua musica era “solamente” evocativa, ora qui si sontanzia nelle tradizioni musicali scozzesi accompagnandoci nelle nostre scalate ed ancor più nelle nostre corse a perdifiato per i pendii. Relativamente a quella visiva occorre sottolineare che – a differenza della bizzarra scelta in Heaven’s Vault di realizzare ambienti tridimensionali in cui si muovevano personaggi bidimensionali – i panorami bidimensionali completamente disegnati sono belli da mozzare il fiato (forse come quelli reali e questo fa davvero venire la voglia di una vacanza in Scozia!): veri e propri quadri paesaggistici da percorrere e da esplorare.

La storia, infine. La protagonista è una ragazzina quindicenne, Moira, che vive sola con la madre, essendo il padre scomparso e il fratello in ospedale in città. A tenere compagnia a Moira sono soprattutto le lettere dello zio Hamish, dal faro che custodisce, in cui le racconta storie e miti della loro terra. E in cui la invita a raggiungerlo in occasione di Beltane, la festa druidica che si celebra il 1° maggio. Moira, una settimana prima della festa, scappa da casa dal tetto portando con se solo uno zainetto con poche cose. Gli unici pericoli che dovrà affrontare sul percorso sono le scalate impervie ed il meteo spesso inclemente che la porta a doversi riparare dalle intemperie per non esaurire la riserva d’energia. Lungo il percorso troverà strani personaggi: minatori che non escono più dalle grotte, appassionate di birdwatching, viandanti accanto a un fuoco. Ognuno di loro in cerca di qualcosa, ma disposti a chiacchierare per un po’ con Moira e, in qualche caso, a darle suggerimenti sulla strada migliore per raggiungere il mare. E quando si addormenta (o quando sviene dopo una caduta) sente la voce dello zio che le narra la leggenda del pescatore innamoratosi di una “Selkie” (essere umano trasmutato in foca). Paradossalmente un solo viaggio non è sufficiente per sentirsi raccontare tutta la storia (e quindi c’è da perdere tempo, almeno durante il nostro primo viaggio verso il faro) che tra l’altro spiega un finale altrimenti un po’ strano e inquietante. Se non arriviamo infatti a Beltane, lo zio ci accoglie comunque, ma poi ci rispedisce a casa raccomandandoci di arrivare puntuali la volta successiva. Tra l’altro tutte le mappe e gli oggetti che avremo raccolto saranno disponibili anche per il nostro successivo viaggio.

Qui sta la vera forza, la vera magia di A Highland Song: nella storia che si compone piano piano sullo sfondo delle camminate nei boschi, delle arrampicate sui dirupi, delle corse con i cervi. Nel nostro comporlo tramite Moira, una protagonista a cui ci si affeziona come ad un’amica o come a una figlia (oddio: nel mio caso potrei dire “come a una nipote”…). Un vero peccato che la dimensione piccola della compagnia e dei giochi che realizza non spinga un distributore a finanziare la traduzione. Anche perché molto spesso Moira, Hamish e le persone che incontra inseriscono parole in gaelico nelle loro frasi, e comunque una difficoltà ad una comprensione fluente delle frasi mina l’apprezzamento delle storie narrate a Moira (e a noi). Comunque, a settare il mood di questa opera folk-ludica, gli sviluppatori mettono la seguente poesia ad ogni apertura del gioco:

the piligrims' aiding

Tutto A Highland Song è una appassionata poesia (o se preferite, canzone, o meglio ballata) videoludica che non è possibile non adorare, da giocare e rigiocare anche solo per rivedere i panorami e correre e saltare assieme ai cervi.

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Ma A Highland Song non è il solo gioco realizzato da inkle in questo periodo: è infatti disponibile online The Forever Labyrinth, realizzato in collaborazione con Google Arts & Culture. The Forever Labyrinth è un’avventura grafica in cui dobbiamo risolvere il mistero di un labirinto che contemporaneamente è una galleria d’arte, dove opere (per lo più quadri) dai musei di tutto il mondo sono esposte in sale, giardini, caverne, attici, foreste, ecc. Ogni ambiente è dotato di passaggi (porte, scale, gallerie, ecc.) ma le stesse opere d’arte sono dei passaggi, una volta che individuiamo il tema predominante di ogni sala. Entriamo nel labirinto per cercare il Professor Sheldrake, ma ben presto ci rendiamo conto di dover scoprire il mistero stesso del labirinto, tanto più che il tempo che passiamo passeggiando da sala a sala è una clessidra che avvicina il momento in cui ci raggiungerà una misteriosa figura incappucciata che alla fine ci rispedirà all’inizio del percorso. In questo caso la collaborazione con Google avrebbe potuto far sperare in una traduzione del gioco, tanto più che sono numerosi i testi presenti: sia note lasciate dall’evanescente professore che ci dovrebbero aiutare nella risoluzione del mistero, sia descrizioni delle opere d’arte di cui, continuando a giocare, raccoglieremo una vera e propria enciclopedia che potremo esplorare tramite i collegamenti alle pagine esplicative all’interno del progetto Google Arts & Culture. Per quanto emotivamente meno ricco e toccante di A Highland Song, questo The Forever Labyrinth è un gioco che può essere utilizzato a scuola, in classe, per insegnare in maniera piacevole contemporaneamente lingua inglese e storia dell’arte.

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