3935093861Devo confessare che sono stato attirato dal libro di Lorenzo Manara La Canzone dei Morti (Acheron Books), pubblicato lo scorso novembre come numero 10 della collana Vaporteppa, da un travisamento. La copertina in particolare, ma anche la presentazione sul sito:

1355. Leone di Forteschio è un cavaliere poeta che vaga per le desolate campagne di un’Italia sconvolta dalla guerra e dalla peste. Il suo destriero è mediocre, la maglia di ferro sudicia e si è pure fatto rubare la spada. Ma un cavaliere non può restare disarmato e la fortuna vuole che sull’uscio di una cripta in rovina trovi una vecchia lama arrugginita, un dono dall’Aldilà per colmare il vuoto del fodero.

Forte della sua spada tombale, viene assoldato dalla signora di Ranacchio per portare a termine un macabro incarico: condurre tre carri pieni di morti dal vescovo. Una missione pericolosa, perché si dice che in quelle zone i cadaveri abbiano cominciato a tirarsi in piedi, barcollanti e letali.

Leone diventa, quindi, condottiero di una funerea scorribanda composta da un cacciatopi, un cavaliere malaticcio, un prete negromante, un barbanicco dell’Est, un fastidioso scudiero e una dama armata di balestra: sette compagni riuniti in processione attraverso luoghi infestati dai redivivi e dagli scagnozzi di un arcidiacono sanguinario, dando vita a una canzone che persino i morti impareranno a cantare.

mi hanno indotto nella fallace presunzione che si trattasse di un fantasy storico a base di zombie (i cadaveri che si tirano in piedi, i morti che cantano nella presentazione e quelle mani che si agitano minacciose verso la figura in primo piano nell’immagine di copertina, il protagonista, che fin dall’inizio viene interrogato da chi incontra sul suo essere vivo o morto). E invece no, o meglio quasi. La cosa, a dire il vero, mi ha un po’ disturbato all’inizio quando mi chiedevo quando i morti camminanti e cantanti e minaccianti avrebbero fatto finalmente la loro comparsa nel romanzo. Spoiler: non ci sono zombie in La Canzone dei Morti, ma fondamentalmente questo è il maggiore e forse l’unico difetto del romanzo. In realtà, ma piuttosto avanti nella narrazione, scopriremo una torma di gente che “sembra” morta, e proprio quell’apparenza avrà un ruolo significativo nella risoluzione dell’intreccio. Ma la storia inizia con il penultimo nato dei signori di Forteschio, impossibilitato a reclamare i domini familiari e, nonostante l’educazione elevata per il periodo (sa leggere e scrivere, ha studiato i classici, e sa pure comporre canzoni), deve o rinchiudersi in un monastero o tentare la ventura come cavaliere a servizio altrui. Leone sceglie la seconda strada e, dopo un non troppo fortunato peregrinare dove gli viene sottratta la spada e ne rimedia una in una tomba convinto che sia una spada stregata destinata a arrugginire e a disfarsi se non alimentata dal sangue in battaglia, prende le parti di Giacomino, signore di Ranacchio, che si ribella al contratto che pure ha firmato con l’arcidiacono di Scafascio che lo costringe a seppellire tutti i morti – di guerra e di malattia – sulle sue terre, trasformando i suoi domini in un immenso e improduttivo cimitero. Leone dimostra la propria – inattesa a lui stesso – capacità guerriera uccidendo l’inviato – oltre che figlio (ovviamente) illegittimo – dell’arcidiacono. L’unica soluzione pare a Giacomino quella di portare gli ultimi tre carri carichi di cadaveri alla porta del Vescovo, sola figura in grado di sciogliere legalmente il contratto. E Giacomino sceglie, per condurre a termine l’impresa, proprio Leone, che guida un variegato gruppo di (non sempre) aiutanti: Brancaldo di Frescazzo (cavaliere apparentemente assai più esperto di Leone, ma che nasconde una profonda debolezza), Stimmate (un cacciatore di topi spacciato per scudiero), fra Cane (un sacerdote in odore di eresia), Fiammetta (nipote di Giacomino e provetta balestriera) e Barocco (un gigantesco barbanicco che parla una lingua incomprensibile ma che in compenso è assai temibile in battaglia col suo enorme roncone). Ad essi si aggiunge tutta una variegata folla convinta che la processione dal Vescovo sia per ottenere benedizioni ed indulgenze. Ma l’arcidiacono, timoroso che il contratto possa essere sciolto e furioso per la morte del figlio, lancia contro la brigata di Leone le sue truppe, più numerose e meglio armate, dotate anche di un’arma terribile come il fuoco greco.

Fin dall’inizio due sono gli immediati riferimenti che vengono alla mente del lettore: il videogioco MediEvil che ha per protagonista il redivivo – anche se non troppo capace – Sir Daniel Fortesque che deve affrontare le schiere di morti resuscitati dal mago malvagio Zarok; Brancaleone da Norcia, protagonista – interpretato da un sublime Vittorio Gassman – dei due film di Monicelli L’armata Brancaleone e Brancaleone alle Crociate. Entrambi i personaggi sono millantatori di prodezze ma alla fine entrambi dimostreranno di possedere un valore insospettato da tutti oltre che da loro stessi. E il vagare di Leone per le campagne incolte e per i boschi dell’Italia del ‘300 diventa progressivamente una discesa nella disfatta e nell’autocompatimento fino a far finire la missione con la brigata dissolta e lui stesso legato ad un albero in attesa della fine. Paradossalmente proprio in questo nadir Leone trova inattesi e insospettati alleati che gli consentiranno di ribaltare la situazione.

Il romanzo quindi non è né un fantasy né un horror, ma un romanzo storico con una descrizione dettagliata, per quanto romanzesca, della vita nelle campagne italiche medievali. E se l’inizio è fin troppo lento nella minuziosa descrizione dell’ambientazione, dei personaggi e delle relazioni che li legano o li respingono, da quando inizia lo scontro tra i guerrieri dell’arcidiacono e l’armata leoniana diventa una lettura da cui non ci si può staccare.

La Canzone dei Morti è in realtà legato al precedente romanzo di Manara, La Stirpe delle Ossa (che tuttavia non ho – ancora – letto), con la medesima ambientazione e con diversi personaggi presenti in entrambi. Ma, come sottolinea l’autore nella sua nota conclusiva, dove svela anche molti dei riferimenti colti disseminati nell’opera, il romanzo precedente è più focalizzato sulle avventure guerresche del suo protagonista mentre ne La Canzone dei Morti abbiamo un protagonista riflessivo, che osserva e commenta non solo il mondo e le persone attorno, ma pure analizza se stesso, le proprie debolezze di fronte ai desideri e alle aspirazioni. Tra le quali anche l’attrazione per la bella Fiammetta che (ovviamente?) apparentemente lo disprezza. Insomma anche un pizzico di “romance” in La Canzone dei Morti che non guasta affatto, soprattutto quando alla fine l’impresa porterà entrambi fianco a fianco ad un passo dalla morte.

Forse se avessi saputo fin dall’inizio che si trattava di un romanzo storico “tout court”, senza fantasy né horror, non avrei letto La Canzone dei Morti, per cui, nonostante all’inizio abbia giudicato un difetto l’ambigua presentazione editoriale, probabilmente – almeno nel mio caso – è stato uno stratagemma poco meno che geniale.

Segnalo il sito dell’autore, Lorenzo Manara, che contiene, oltre alla presentazione dei suoi (ad oggi) tre libri, anche i podcast, i video ed un blog con post su storie e leggende del Medioevo e di altri periodi più o meno oscuri della storia.

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