Come molti (per lo meno della mia generazione e delle precedenti) sono stato appassionato di Edgar Rice Burroughs fin da ragazzo, arrivando alle sue opere dai film, dalle serie televisive (animate e non), dai fumetti dedicati al suo personaggio più famoso: Tarzan. Dopo la lettura di svariate opere dedicate al signore della giungla ho provato anche ad avvicinare il ciclo di Barsoom (o di Marte), ma in realtà con scarso piacere, tanto che dopo i primi romanzi ho abbandonato senza rimpianti l’impresa. Ero però curioso relativamente al ciclo di Pellucidar, fino a pochi anni fa rimasto inedito in Italia, mentre ora è stato tutto pubblicato da Landscape Books ed è in corso di pubblicazione da GM.Libri. Curioso perché si addentra nel mito della Terra cava, utilizzato anche da Verne per Viaggio al centro della Terra, che rimane una delle mie opere preferite dell’autore, non solo per il romanzo ma anche per la deliziosa (ed ancor oggi apprezzabile) trasposizione cinematografica del 1959 diretta da Henry Levin.
Il Ciclo di Pellucidar, pubblicato da Landscape Books (l’edizione che ho letto), è uscito con questa cadenza:
- Al centro della Terra, 2021 (At the Earth’s Core, 1914 su rivista, 1922 in volume);
- Pellucidar, 2021 (Pellucidar, 1915 su rivista, 1923 in volume);
- Tanar di Pellucidar, 2022 (Tanar of Pellucidar, 1929 su rivista, 1929 in volume);
- Tarzan al centro della Terra, 2022 (Tarzan at the Earth’s Core, 1930 su rivista, 1930 in volume);
- Ritorno all’Età della Pietra, 2022 (Back to the Stone Age, 1937 su rivista col titolo Seven Worlds to Conquer, 1937 in volume);
- La terra dell’orrore, 2023 (1944 direttamente in volume);
- Selvaggia Pellucidar, 2023 (1942 su rivista le prime tre storie, 1963 in volume con l’ultima storia, fino a quel momento inedita) [informazioni sulle edizioni originali tratte da Wikipedia].
Nonostante il lasso di tempo trascorso tra i primi due romanzi ed il terzo, tutto il ciclo è estremamente coerente ed omogeneo, tanto che può veramente essere letto come un’opera unitaria, anche se non mancano approcci diversi per le varie storie ed elementi incongrui o quantomeno lacunosi. Del resto, come si può vedere dalle edizioni originali, la maggior parte delle opere del Ciclo (e di Burroughs in generale) sono state pensate e pubblicate come storie a puntate su riviste, e la forma “romanzo” è posteriore. I lettori più giovani possono pensare ai fumetti seriali dove cicli particolarmente apprezzati sono raccolti in volume dando loro una forma da graphic novel. La prosa di Burroughs in questo senso è perfettamente plasmata sulla narrativa pulp dove la trama ha un ritmo ed una strutturazione legata ai vari episodi piuttosto che all’opera complessiva: ecco dunque che, praticamente alla fine di ogni capitolo troviamo un “cliffhanger” (una situazione di pericolo che lascia i lettori sospesi e auspicabilmente desiderosi di sapere come i nostri eroi possano sfangarla acquistando il numero successivo della rivista) che da una prospettiva di lettura continua, e soprattutto di trama generale, impedisce una strutturazione stilistico-narrativa complessa e – sulla lunga distanza – tende ad essere ripetitiva, tanto più che nella maggior parte dei casi, nel Ciclo di Pellucidar, il cliffhanger è relativo alla cattura di uno o più eroi da parte di una tribù nemica, che si risolve nell’episodio/capitolo successivo con l’ingegnosa fuga solo per finire, alla fine dello stesso, di nuovo catturati. Da segnalare comunque come le prime due opere del ciclo formano un vero e proprio dittico con una storia sostanzialmente autoconclusiva e complessivamente la migliore di tutto il ciclo, essendo quella maggiormente strutturata e complessa a livello di trama, che non riduce la narrazione a uno dei due elementi che vedremo dominare nei romanzi successivi: il “romance” quando abbiamo due soli protagonisti, il “perdersi e ritrovarsi” nei romanzi strutturati invece in forma “corale”.
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In estrema sintesi vediamo le trame.
In Al centro della Terra il giovane ed atletico nonché facoltoso David Innes finanzia la possente trivella del suo amico inventore Abner Perry ma, nel viaggio inaugurale, finiscono per sbucare in un inatteso spazio cavo all’interno della Terra. Scoprono che questo spazio è popolato da animali e vegetali che sulla superficie si sono estinti con la fine delle ere preistoriche, ma sono presenti pure esseri umani ed umanoidi da cui vengono catturati per essere consegnati ai Mahar come schiavi. I Mahar sono rettili intelligenti che hanno costruito grandi città e che schiavizzano gli esseri umani per utilizzarli sia come forza lavoro sia come cibo (quello dell’antropofagia è un tema ricorrente in questo Ciclo). Dopo una serie di peripezie, David riesce non solo a liberare sé ed il suo amico, ma anche i suoi compagni di sventura “sariani” tra cui Dian la Bella (di cui ovviamente si è innamorato) e a progettare un ritorno sulla superficie per recuperare armi e tecnologie che possano garantire ai sariani difesa e sicurezza nei confronti dei Mahar e contemporaneamente contribuire a fondare il Primo impero pellucidariano, di cui (ancora ovviamente) Innes sia il primo imperatore.
Pellucidar narra del ritorno di Innes con le armi e la tecnologia che gli permette di armare i sariani e di iniziare a mappare il territorio al fine di sconfiggere i mahariani (dopo aver liberato Dian e ucciso il malvagio sariano che si era alleato con i rettili per garantirsi la donna) e confederare le tribù in un’alleanza che permetta loro di proteggersi da mahariani ed altre specie/tribù nemiche.
Protagonista di Tanar di Pellucidar è il sariano Tanar, preso prigioniero dai Korsar durante una spedizione per proteggere una tribù alleata. I Korsar sono la versione stereotipata e satirica dei pirati, e in effetti sono discendenti di navi pirate che riuscirono ad arrivare a Pellucidar da un passaggio nel Polo. Tanar, prigioniero sulla nave dei Korsar, si innamora della (ovviamente) bellissima Stellara che crede la figlia del comandante della nave e capo dei Korsar. A seguito di una violentissima tempesta di cui loro sembrano gli unici due sopravvissuti, scopre però che lei è la figlia di una schiava rapita dai Korsar ancora incinta. Il “mood” del romanzo, tra avventure e peripezie, è la storia d’amore tra i due che continuamente si attraggono e si respingono. Alla fine vengono ricatturati dai Korsar ma, grazie anche all’arrivo di David Innes, riescono a fuggire al prezzo però di dover lasciare Innes nelle mani dei nemici.
Tarzan al centro della Terra è un crossover che vede il più noto personaggio creato da Burroughs correre in soccorso di Innes assieme ad una spedizione guidata da Jason Gridley, inventore di uno speciale apparecchio radio con cui riesce a mettersi in contatto con Abner Perry da cui viene a conoscenza degli eventi di Pellucidar. Gridley organizza una spedizione, che riesce ad entrare in Pellucidar grazie al passaggio polare tramite un dirigibile, sostenuto dall’aiuto di Tarzan e dei guerrieri a lui fedeli. Peccato che, arrivati su Pellucidar, Tarzan voglia fare il gradasso lanciandosi da solo in esplorazione – venendo catturato ed essendo impossibilitato ad orientarsi (per la mancanza di riferimenti astronomici di cui si dirà più avanti) – portando a perdersi pure la successiva missione di soccorso guidata da Gridley e composta dai guerrieri africani. Tanto Tarzan, quanto Gridley e i guerreri africani (oltre a Frederich Wilhelm Eric von Mendeldorf und von Horst, le cui peripezie saranno però narrate nel volume successivo), divisi e dispersi passano per svariate dis/avventure, incrociandosi senza mai incontrarsi fino alla fine quando provvidenzialmente si riuniscono e riescono in extremis a far rotta su Korsar e a liberare David Innes grazie alla superiorità delle loro armi (oltre al panico generato dall’arrivo del dirigibile sopra la città).
Ritorno all’Età della Pietra è tutto dedicato alle peripezie di Frederich Wilhelm Eric von Mendeldorf und von Horst, giovane ed aitante ufficiale tedesco presente nella spedizione organizzata da Gridley per il salvataggio di Innes che si perde su Pellucidar durante il tentativo di trovare lo scomparso Tarzan. Attaccato e paralizzato dalla versione pellucidariana di uno pterodattilo, riesce a liberarsi solo per essere fatto schiavo da Skruf della tribù di Basti. A Basti von Horst conosce una schiava – (l’ovviamente bellissima) La-ja – e per difenderla innesca una rivolta degli schiavi, grazie alla quale riescono a fuggire. Von Horst decide cavallerescamente di scortarla fino al suo villaggio natale, ma viene ostacolato sia da Skruf (che ovviamente vuole La-ja per sé), sia dalla tribù degli uomini mammut, sia dagli uomini bisonte venendo salvato dal più vecchio e grande dei mammut, di cui von Horst si era guadagnato la gratitudine e la fedeltà liberandolo da una trappola. Alla fine Von Horst, pur essendo alla fine ritrovato da una missione di salvataggio guidata da Innes, preferisce restare a Lo-har, paese natale di La-ja, assieme a lei, come capo della tribù. Ritorno all’Età della Pietra è senza dubbio il più “divertente” dei romanzi del ciclo, principalmente per la efficace caratterizzazione di Von Horst, disilluso e scanzonato, in grado di “ridere con le parole” anche nelle e delle situazioni peggiori.
La terra dell’orrore è l’unico dei volumi del ciclo ad essere stato pubblicato direttamente in volume, per il rifiuto opposto ad esso da parte delle riviste su cui normalmente Burroughs pubblicava. Forse anche per questo i capitoli/episodi sono più brevi e meno sviluppati: la solita panoplia di peripezie viene spesso sostituita dalle riflessioni dell’autore (su come non ci sia molta differenza tra gli uomini civilizzati e quelli primitivi, tolta la tecnologia) e le (dis-) avventure di David Innes di ritorno a Sari da Lo-har assumono caratteri verniani (la cattura da parte delle formiche giganti) e swiftiani: in particolare il capitole dove viene catturato da tribù dove le femmine hanno preso il ruolo dominante dei maschi, assumendone pure caratteristiche fisiche come l’esibizione di barbe (e dove l’editore è stato costretto a dissociarsi in nota dalle considerazioni di Burroughs sul fatto fosse meglio per le donne mantenere il posto a loro assegnato all’interno dei ruoli sociali) tanto più connotanti la negatività quanto più le donne protagoniste dei suoi libri sono normalmente descritte come bellissime e seminude.
In Selvaggia Pellucidar Burroughs narra della parallela spedizione di Innes alla ricerca di Dian persa a sua volta durante un rovinoso viaggio inaugurale di un prototipo di pallone aerostatico e di Hodon, uno dei messaggeri di Innes alla ricerca dell’amata O-aa. Sia Dian sia O-aa finiscono in territorio fino ad allora sconosciuto di Pellucidar, in due città rivali e credute entrambe, per il modo in cui arrivano (su un pallone aerostatico Dian e su una nave O-aa), messaggere della divinità. Entrambe però devono fare i conti con l’avidità degli esponenti del potere religioso e del potere politico che si dividono l’influenza sulle rispettive città. Wikipedia parla per questo volume di una raccolta di racconti, assemblati solo nel 1963, in realtà la coerenza interna è pari a quella degli altri volumi, per cui non è errato indicarlo, come fa l’editore, come “l’ultima avventura” (al singolare).
Si è parlato, per queste opere – quanto meno per i volumi da tre a sette (escluso quindi il dittico iniziale) – di due elementi caratteristici che si alternano: “romance” e “perdersi e ritrovarsi”. In realtà entrambi gli elementi sono presenti in tutti e sette i romanzi, ma possiamo segnalare delle predominanze. Il lato “romance” emerge preponderante quando abbiamo un unico protagonista che inevitabilmente incappa in una (ovviamente) bellissima (e sempre poco vestita) donzella in pericolo che si scopre essere figlia di un capo ma in fuga da qualche pretendente odioso nonché spesso brutto. La donzella fa immancabilmente la preziosa desiderando invece che lo spasimante si dichiari pubblicamente per sancire i suoi sentimenti. Il problema è che la donzella non glielo comunica o comunque non glielo fa intendere e i due passano da disavventura a disavventura credendo di odiarsi mentre invece si amano perdutamente. Cosa che comunque entrambi felicemente scopriranno alla fine del romanzo che li riguarda. Questo elemento, pur essendo presente anche nei romanzi dove abbiamo uno svolgimento maggiormente corale, passa relativamente in secondo piano rispetto alla peripezie dei personaggi che si cercano a vicenda, incrociandosi spesso ma incontrandosi solo alla fine (in particolare i due romanzi maggiormente “romance” sono Tanar di Pellucidar e Ritorno all’Età della Pietra). Burroughs si rende perfettamente conto
di sfidare la logica e la razionalità del lettore narrando di gente che si cerca per lande sterminate senza punti di riferimento riuscendo immancabilmente a trovarsi alla fine del libro quindi mette a spiegazione e perno di Pellucidar l’assenza di punti di riferimento che è anche assenza di tempo. Pellucidar, spiega Burroughs, è una terra cava con al centro un sole che illumina in maniera continua ed uniforme tutta la superficie: questo comporta sia l’assenza di punti cardinali e di altri elementi (come il cielo stellato) per orientarsi spazialmente, sia di riferimenti per poter misurare il tempo. I suoi protagonisti sono sempre insicuri sul tempo trascorso, che misurano in numero di pasti o di sonni, che però variano a seconda dell’attività. Così viene spiegato l’incontrarsi dei personaggi nonostante i percorsi compiuti siano apparentemente assai diversi. In qualche modo, indirettamente, l’assenza della capacità di misurazione del tempo spiega anche la vera e propria assenza di tempo che mantiene su Pellucidar l’ambiente e la fauna preistorici e Ah-gilak – personaggio di Selvaggia Pellucidar – ultracentenario arzillo vecchietto dopo essere sopravvissuto ad una tempesta che l’aveva scagliato nel passaggio polare. Un altro elemento che non è possibile non sottolineare è la prospettiva coloniale che emerge dalle opere: Innes e Perry arrivano in un ambiente primitivo e “inevitabilmente” lo migliorano con le loro conoscenze e con la loro tecnologia. Inevitabilmente i civilizzati abitanti della superficie devono prevalere e dominare sulle tribù primitive presenti a Pellucidar. E lo stesso Burroughs non può esimersi dall’osservazione, vagamente autocritica, che la maggior parte della tecnologia che portano e che li aiuta a “civilizzare” e “modernizzare” le tribù pellucidariane ha natura e finalità bellica: tecnica per uccidere più persone con maggiore efficienza. Il lettore, alla fine del Ciclo, sente però la mancanza di storie che parlino della luna di Pellucidar: il luogo dove viene più dettagliatamente descritta è Tanar di Pellucidar. La luna viene descritta come un piccolo planetoide che orbita bassissimo e che a differenza di Pellucidar compie una rotazione intorno al sole (e quindi sulla sua superficie c’è l’alternanza di giorno e notte che manca a Pellucidar) e sulla cui superficie è possibile scorgere la presenza di vita, quantomeno di vegetazione. Quale meraviglioso spunto per una possibile ulteriore avventura che ampli la gamma espressiva del ciclo? Purtroppo non è dato soddisfare la curiosità dato che né Burroughs né altri epigoni hanno mai concretizzato questa possibile espansione narrativa.
A proposito di epigoni: oltre alle sette opere ce ne sono due ulteriori legate al Ciclo e scritte da John Eric Holmes di cui una – Mahars of Pellucidar (Ace Books, 1976) – col consenso degli eredi di Burroughs e formalmente pubblicata ed una – Red Axe of Pellucidar (1993) – senza il consenso ed uscita unicamente come edizione privata.

A differenza poi sia di Tarzan, sia del Ciclo di Barsoom, il Ciclo di Pellucidar non ha ottenuto molta attenzione da parte degli altri media: i fumetti (e gli episodi delle serie animate) che lo riguardano sono praticamente solo quelli che hanno protagonista Tarzan e l’unico film che direttamente traspone la prima (e seconda) opera del Ciclo è Centro della Terra: continente sconosciuto (At the Earth’s Core) diretto da Kevin Connor e interpretato da Doug McClure (David Innes), Peter Cushing (Abner Perry) e Caroline Munro (Dia, cioè Dian) e uscito nel 1976. La cosa migliore di questo film (che se volete potete trovare su Netflix) è la recitazione sorniona e sopra le righe di Cushing, tutto il resto è completamente disastroso: la storia ridotta e tagliata fino a renderla incomprensibile e soprattutto gli effetti speciali assolutamente orripilanti. Per avere un metro di paragone pensiamo che nello stesso anno, il 1976, è uscito King Kong di John Guillermin. Corretta l’osservazione dell’abissale differenza di budget, non si può tuttavia pensare che anche nel precedente King Kong del 1933 (o nel citato Viaggio al centro della terra del 1959) gli effetti speciali erano migliori di questa sorta di Power Rangers occidentale (a livello di effetti speciali). Almeno in un aspetto il film è relativamente fedele al romanzo: Dian (ribattezzata non si sa perché Dia) viene interpretata da una bellissima attrice succintamente vestita.
Un possibile indizio della minore fortuna del ciclo pellucidariano rispetto agli altri possiamo forse ricavarlo dal recente volume a fumetti pubblicato da Editoriale Cosmo dedicato a Tarzan. Si tratta del volume che conclude la raccolta (in tutto sono 3 volumi) delle storie disegnate da John Buscema e pubblicate originariamente negli anni ‘70. Il volume è stato intitolato complessivamente col titolo della prima storia presente: Il passaggio per Pellucidar. A differenza degli altri due precedenti volumi che vedevano come autori Roy Thomas e John Buscema, in questo si alternano prima David Kraft alla storia e John Buscema alle matite e poi Bill Mantlo ai testi e Sal Buscema alle matite. Innanzi tutto – per sottolineare il del tutto assente rispetto alle fonti letterarie che vengono riprese (che sarebbe un male decisamente minore se fossimo di fronte ad un’opera pregevole, cosa però che qui non è, al massimo possiamo puntare alla piacevolezza) – ci troviamo di fronte al principale antagonista che è niente meno che l’arabo pazzo Abdul Alhazred, cioè nell’immaginario lovecraftiano il redattore del Necronomicon, dotato di poteri da supereroe (ad esempio si piglia un proiettile in testa senza fare una piega) che guida una spedizione per trovare su Pellucidar un cristallo che è la fonte del suo potere e effettuare un sacrificio umano che lo renda permanente. Presenti anche i Mahar, disegnati bene ma che inopinatamente possono sentire e parlare (cosa assolutamente esclusa da Burroughs che li fa comunicare telepaticamente). C’è pure una sorta di ricetrasmittente sulla luna di Pellucidar, ma non è chiaro chi l’abbia costruito (probabilmente i Mahar) e come abbia fatto ad arrivare là. Dalla lettura di queste storie sorge il sospetto che il principale handicap del Ciclo di Pellucidar l’abbia creato Burroughs stesso con il crossover Tarzan al centro della Terra: Pellucidar è sempre stato visto (nei fumetti, nelle serie televisive sia animate che non) solo come un’ambientazione esotica con fiere e personaggi insoliti in cui ambientare le storie del Signore della Giungla. Piegando del tutto, come hanno ad esempio fatto Kraft e Mantlo, il rispetto alla storia alla necessità di spettacolarizzare le sue imprese.
In conclusione: vale la pena di leggere il Ciclo di Pellucidar? Assolutamente sì, essendo tutto sommato estremamente divertente. Deve essere chiaro che si tratta di pura evasione, comunque scritta bene (pur in assenza di una prosa raffinata), scorrevole e sempre piacevole. E chissà che prima o poi si possa assistere a fumetti o magari serie televisive dedicati ad essa meno irrispettosi e più coinvolgenti.
Maggiori informazioni (in inglese) possono essere recuperate sul sito ufficiale dove sono presenti saggi, comics e illustrazioni (le illustrazioni a corredo di questo post, tranne le copertine dei libri italiani, sono tutte prese da lì) e tutte le opere di Burroughs (dato che sono ormai scaduti i diritti) liberamente disponibili in inglese.

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