978880625958HIGStella Maris, l’ultimo romanzo pubblicato da Cormac McCarthy prima della sua scomparsa, appena uscito da Einaudi, lo paragono ad un film pornografico. Un film porno in cui i protagonisti, mentre stanno compiendo impervie acrobazie erotiche, al posto di emettere mugugni e sconcezze, discutano di filosofia. Il lettore di Stella Maris probabilmente non sarà se non minimamente a conoscenza delle teorie matematiche che vi vengono menzionate (il sottoscritto ogni tanto andava a controllare su Wikipedia, ma più che altro per verificare che McCarthy non lo stesse perculando) proprio come lo spettatore di un porno difficilmente riuscirà ad effettuare le stesse acrobazie erotiche di cui è spettatore. Ma in un caso come nell’altro la matematica e le evoluzioni sessuali si rivelano un sottotesto secondario, uno sfondo a quello che conta veramente all’interno dell’opera, che viene evidenziato per contrasto.

Di Stella Maris ho letto un paio di recensioni, ma in nessuna ho ravvisato quello che cercherò di esporre ora. Intanto il primo elemento formale, talmente evidente da essere evidentemente considerato – a torto – inessenziale, è il fatto che si tratta contemporaneamente di un sequel e di un prequel. Un sequel editorialmente (esce dopo) ma di un prequel a livello narrativo (narra eventi successi prima rispetto alla linea temporale de Il passeggero). Fin qui ovviamente nulla di strano: il mondo letterario, soprattutto quello di genere, è pieno di prequel usciti dopo. Per fare un esempio che chiunque possa capire esuliamo dal letterario passando al cinematografico e pensiamo a Star Wars: Rogue One. Rogue One è la storia di come un commando di Ribelli sia riuscito a trafugare i piani di costruzione della Morte Nera, quegli stessi piani che Leia porta a Obi Wan/Ben Kenobi all’inizio di Guerre Stellari/Star Wars. Episodio IV: Una nuova speranza. Guerre Stellari è del 1977 mentre Rogue One esce nelle sale nel 2016. Da un punto di vista editoriale Rogue One è un sequel (viene dopo) ma dal punto di vista narrativo, espone eventi che precedono quelli delle opere principali. Normalmente una tale operazione commerciale avviene per sfruttare un franchise di successo ampliando elementi che nelle opere principali sono solo accennati come premesse narrative. Non è il caso di Stella Maris dato che i due libri sono stati pubblicati sostanzialmente in contemporanea (lo iato temporale tra i due inserito in Italia è, mi sembra, un’eccezione) e perché buona parte de Il passeggero è dedicato alla sorella del protagonista, Alicia, ed alle sue discussioni con le “chimere” che la sua mente le mostra. Ciò ci porta pertanto alla domanda su cosa sia “davvero” Stella Maris. Avrebbe potuto essere inglobato ne Il passeggero (ne sarebbe risultata un’opera corposa ma non certo eccezionale per dimensioni)? La (mia) risposta è no, ma per spiegarne il motivo devo fare un altro passo.

La “forma” letteraria di Stella Maris è quella del “dialogo”. Sono le registrazioni dei colloqui di Alicia con lo psichiatra che le viene assegnato durante la sua ultima permanenza nell’istituto psichiatrico. In realtà non si tratta di un vero e proprio dialogo ma piuttosto di un monologo, in quanto le battute dello psichiatra non narrano alcunché e servono esclusivamente per (tentare di) contenere la narrazione aliciana sui binari dell’indagine del disagio psicologico. In realtà era già così nei flashback dedicati ad Alicia all’interno de Il passeggero. Ma in quei flashback l’interlocutore di Alicia non era un insipido psichiatra, ma Talidomide Kid, apparentemente creazione della mente disturbata di Alicia, che tuttavia non si limitava ad essere ascoltatore passivo ma metteva costantemente in dubbio le sue azioni e opinioni. Ma il Kid non va a trovare Alicia quando si trova all’interno dell’istituto psichiatrico (merito/colpa dei farmaci?) quindi, per tutto Stella Maris, Alicia si trova di fronte ad un ascoltatore sostanzialmente passivo. E qui, come già fatto quando avevo scritto de Il passeggero, non posso non richiamare un altro libro: Barbara O’Brien Operatori e Cose. Diario di una schizofrenica (Adelphi, 2021). In questo libro le “chimere” (il Kid e gli altri esseri apparentemente allucinatori) vengono descritte come strutture create dall’inconscio della mente malata per aiutare il soggetto che soffre a guarire. Ma Alicia, entrando spontaneamente nell’istituzione psichiatrica dopo essere fuggita dal capezzale dell’amato fratello in coma e creduto morto, consapevolmente (?) lascia fuori questa estrema per quanto paradossale áncora di salvezza. E il suo monologo di fronte allo psichiatra verbalizzante diventa nient’altro che il suo testamento di ragazza prodigio della matematica, con sterminate dissertazioni sui matematici del Novecento, sui loro pregi e sulle loro debolezze. Sulla matematica come contemporaneamente fondamento della conoscenza umana ed elemento alieno alla realtà. Sulla musica – quella di Bach, in particolare (e io, che di solito finito un libro ne corro ad iniziare un altro in preda all’horror vacui di lettura, finito questo mi sono infilato a letto ascoltando per una notte intera quanto di Bach avessi disponibile) – unica figlia diretta della matematica. Ed infine su Bobby, il fratello ed unico amore della sua vita. Il desiderio, anche sessuale, per lui. E tutto questo, dopo una serie a tratti estenuante di digressioni storico-teoriche in una trama praticamente priva di intreccio (a differenza de Il passeggero), si va pian piano a condensare in un delta finale al calor bianco emotivo che lascia il lettore assolutamente senza fiato.

Tanto da farmi dire che non è Stella Maris il prequel de Il passeggero, ma piuttosto è il secondo il sequel del primo, uscito per primo perché Stella Maris non avrebbe avuto la stessa forza senza l’immagine di lei suicida che apre Il passeggero e che tormenta il lettore e soprattutto il fratello per tutto il corso del romanzo. Così tanto più vivido Stella Maris, nonostante la ristrettezza prospettica, da farmi addirittura dubitare che tutto Il passeggero non sia che un’allucinazione onirica della mente malata (di chi? Alicia? Bobby? Magari del lettore?).

Di certo Il passeggero e Stella Maris sono un unicum e sarebbe sbagliato leggere uno senza l’altro, anzi ora che sono entrambi disponibili leggere uno significa voler/dover leggere l’altro per completarne il disegno, per poi lasciarsi andare al desiderio di rileggere il primo alla luce di quanto osservato nel secondo e così via, ad libitum. Se ero rimasto perplesso di fronte alla lettura del solo Il passeggero (ma altri critici si erano allargati a giudizi ancor più perentoriamente negativi), non mi resta che constatare che Cormac McCarthy ha consegnato al 21° secolo con questo suo dittico forse la prima vera opera letteraria destinata a segnare la nostra epoca.

Post scriptum sul linguaggio.

Ad un certo punto Alicia disquisisce sull’origine del linguaggio, discutendo con lo psichiatra sulla malattia mentale come caratteristica esclusiva degli esseri umani (nel testo si alternano Alicia – primo paragrafo – e lo psichiatra).

Penso che perché ci sia pazzia ci dev’essere linguaggio.

Per sentire le voci immagino.

Il perché non mi è chiaro. Ma bisogna capire cos’è stato l’avvento del linguaggio. Per un bel po’ di milioni di anni il cervello se l’è cavata piuttosto bene senza. L’arrivo del linguaggio è stato come l’invasione di un sistema parassitario. Ha cooptato quelle aree del cervello che erano meno attive. Maggiormente suscettibili di essere assoggettate.

Un’invasione parassitaria.

Sì.

Dice sul serio.

Sì. La guida interiore di un sistema vivente è necessaria alla sua sopravvivenza quanto l’ossigeno e l’idrogeno. La gestione di qualunque sistema evolve di pari passo col sistema stesso. Tutto, dal battito di ciglia al colpo di tosse alla decisione di mettersi in salvo. Tutte le facoltà hanno la medesima storia a parte il linguaggio. Le uniche regole evolutive che il linguaggio osserva sono quelle necessarie alla sua stessa costruzione. Un processo avvenuto in poco più di un batter d’occhio. La straordinaria utilità del linguaggio lo trasformò in un’epidemia folgorante. Sembra che si sia diffuso quasi istantaneamente in tutte le sacche più remote dell’umanità. Quello stesso isolamento che aveva determinato l’unicità dei vari gruppi sembrerebbe non averli affatto salvaguardati da quest’invasione e sia la forma del linguaggio che le strategie con cui ha attecchito nel cervello appaiono pressocché universali. L’esigenza più immediata fu quella di una maggiore capacità di produrre suoni. Pare che il linguaggio abbia avuto origine in Sudafrica e quest’esigenza spiegherebbe i suoni avulsivi nelle lingue khoisan. Il fatto che ci fossero più cose da nominare che suoni per nominarle. In ogni caso la disposizione fisica alla parola fu probabilmente l’ostacolo fisico più grande. La faringe si allungò al punto che nella sua forma attuale l’apparato ha quasi strangolato il suo possessore. Siamo gli unici mammiferi che non possono inghiottire e articolare al tempo stesso. Pensi al gatto che brontola mentre mangia e provi a fare lo stesso. Comunque sia, il sistema di guida inconscio ha milioni di anni, la parola meno di centomila. Il cervello non aveva la minima idea di quello che lo aspettava. L’inconscio deve essere stato costretto a fare carte false per agevolare un sistema che si dimostrava del tutto inesorabile. Paragonabile non solo a un’invasione parassitica, paragonabile a nient’altro.

Una dissertazione notevole.

L’interesse sta nel fatto che il linguaggio si è sviluppato a partire da nessun bisogno noto. Era solo un’idea. Lysenko resuscitato. E l’idea, di nuovo, era che una cosa potesse rappresentarne un’altra. Un sistema biologico vittoriosamente preso d’assalto dalla ragione umana.

Due osservazioni.

Il concetto di linguaggio come virus era già in Snow Crash di Neal Stephenson ma anche in una canzone di Laurie Anderson.

Che il linguaggio si sia sviluppato senza alcun bisogno noto non è supportato dalle ricerche più recenti (ma è anche vero che il romanzo non è ambientato nel tempo contemporaneo) come è possibile vedere nei libri di Sverker Johansson (presente anche al Festival Filosofia di Modena di quest’anno) e di Derek Bickerton.

Nondimeno l’ipotesi è affascinante e per nulla peregrina. E spinge ad indagare più a fondo il nesso tra linguaggio e follia.

Cormac-McCarthy

Una replica a “Stella Maris: Cormac McCarthy #2/2”

  1. Avatar Manu Larcenet e La strada – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] di sangue e nella “Trilogia dei cavalli” e solo in apparenza è ribaltato nell’ultimo: Stella Maris) è profondamente misogino. Le donne nel romanzo sono presenti ma hanno esclusivamente finalità […]

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GOCCIA DI SAGGEZZA

Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson