Avevo iniziato a leggere Strangers in Paradise di Terry Moore all’epoca della sua prima edizione italiana, a cura di Castelvecchi, alla fine degli anni ‘90, ma poi, complici le uscite intermittenti e i cambi di editore, ne avevo interrotto la lettura ed avevo lasciato gli 8 volumi alla Biblioteca di Fiorenzuola (dove sono ancora). (Colpevolmente) non avevo fatto caso che Bao aveva non solo ripubblicato integralmente tutta la serie, ma che aveva iniziato a pubblicare anche le altre opere dell’autore americano: Motor Girl, Echo, Rachel Rising, ecc. Ad attirarmi di nuovo verso di lui è stata – in fumetteria – la copertina della raccolta (sempre a cura di Bao) di Serial: una ragazzina che si succhia tranquillamente un succo di frutta mentre ai suoi piedi s’intravede una carneficina, probabilmente fatta da lei, dato che in mano ha una katana insanguinata.

L’acquisto si è rivelato ottimo perché mi ha fatto tornare alla cura nella rappresentazione dei personaggi che avevo così apprezzato a suo tempo in Strangers in Paradise, ma immersi in una storia decisamente appassionante.

In Serial abbiamo due protagoniste: Jenni e Zoe. Zoe torna dalla serie Rachel Rising ed è una donna trentaduenne “imprigionata” nel corpo di una ragazzina di dieci anni (il motivo è una possessione demoniaca che viene spiegata nella serie precedente, ma qui la cosa non ha rilevanza). Sia Jenni sia Zoe vanno a caccia di predatori sessuali, in particolare di adescatori, violentatori, assassini di ragazze minorenni. Per questo Jenni e Zoe potrebbero essere alleate. Forse anche amiche. Ma Jenni uccide Jill (dopo averne ucciso il marito adescatrice di minorenni) che era amica ed era stata compagna di scuola di Zoe (con la giustificazione che conosceva la perversione del marito ma non aveva fatto nulla). E Zoe, tra un sogno in cui compie una strage e l’uccisione di un predatore che l’aveva seguita in un bosco credendola una bambina indifesa, compie un’indagine accurata, precedendo sempre la polizia, per trovare Jenni, vera e propria serial killer che raccoglie trofei delle sue vittime e li immortala in cubi di vetro che soffia lei stessa. Nel conclusivo confronto tra le due Jenni cerca di convincere Zoe che in fondo sono uguali: entrambe abusate da bambine con madri che le maltrattavano invece di prenderne le difese. Ma non è così: Jenni, per quanto persegua la sua carneficina in maniera metodica e implacabile, non gioca con le sue vittime come invece fa, con piacere “infantile”, Zoe. “Adesca” con abiti e trucco appropriati, le sue vittime e le uccide. Zoe invece, nella stupenda sequenza che la riguarda, gioca col suo pedofilo, lo lega e lo sevizia proprio come successo alle vittime di lui, immortalate nel suo icloud.

Al di là della trama, comunque avvincente, ritorna la capacità sopraffina di Moore di ritrarre la psicologia dei personaggi e delle relazioni che intrecciano. Di presentare in particolare in maniera realistica e credibile i personaggi femminili, che si sforzano per non farsi sopraffare dal maschilismo tossico che le circonda, ma senza mai per questo diventare iconiche, auto-raffigurarsi come “super-eroine”. È decisamente necessario che ritorni a Strangers in Paradise e che ne completi la lettura e che legga anche le altre serie nate dalla mente e dalla matita di Moore. Anche perché ultimamente intende unificare tutte le sue storie originali (ché ha anche lavorato per DC e Marvel) in una continuity all’interno del “Terryverso”.