Qual è il lettore (o la lettrice) ideale? Qual è la biblioteca ideale? Sono domande a cui rispondono gli aforismi di Alberto Manguel nell’aureo libretto Il lettore ideale & La biblioteca ideale pubblicato da poco da Vita e Pensiero. Onestamente, da bibliotecario, le indicazioni mangueliane sulla biblioteca ideale non sono particolarmente rivelatorie: dopo oltre trent’anni di professione non è questa gran rivelazione che nella biblioteca ideale ogni utente debba sentirsi il prescelto (o la prescelta), che la biblioteca ideale deve essere aperta a qualsiasi formato di testo, che deve essere di facile accesso, che deve essere comoda e accogliente, che deve organizzare senza etichettare, dove ci si può fermare a mangiare, bere e socializzare, ecc. Semmai sono rivelazioni che possono essere utili per l’assessore di turno che arriva al libro dalla fama di studioso del libro e della lettura di Manguel e resta folgorato dalle sue indicazioni sull’organizzazione della biblioteca che dovrebbero essere patrimonio comune e assodato di ogni bibliotecaria e bibliotecario.

Più interessanti – almeno per quel che mi riguarda – i suoi aforismi sul lettore ideale. Ne riporto tre che mi hanno colpito in modo particolare.

Ogni lettore ideale legge per associazioni: come se tutti i libri fossero l’opera di un unico autore, eterno e prolifico.

Questo aforisma lo sento particolarmente vero per quello che mi riguarda: ogni libro che leggo (come ogni film che guardo, ogni video/gioco che faccio, ogni musica che ascolto) vanno ad inserirsi nell’enorme (e indubbiamente caotico) ipertesto nella mia testa, costituito appunto da ossessioni e contaminazioni.

Per il lettore ideale, ogni libro sembra essere, in una certa misura, la propria autobiografia.

In qualche modo questo è conseguenza di quanto espresso nell’aforisma precedente. Se ogni libro (film, video/gioco, musica) è il tassello di un unico multiforme libro (o meglio opera) allora quei libri diventano inevitabilmente parte di noi e raccontano almeno in parte noi stessi.

Il lettore ideale vorrebbe sia finire il libro sia sapere che quel libro non finirà mai.

E qui è perfettamente rappresentata l’ambigua sensazione contemporaneamente di gioia e sconforto che ci coglie quando terminiamo un libro che ci ha appassionato, che ci ha acchiappato all’interno delle sue pagine, delle sue trame, delle sue storie o delle sue argomentazioni e, improvvisamente, ci rendiamo conto che è giunto il momento di accomiatarci da lui e affrontare la voragine della scelta di un nuovo libro col rischio che sia, a differenza di quello, meno interessante o addirittura una vera e propria delusione. Per scongiurare questo attimo di confusione e terrore, da giovane preparavo le letture da fare (in certi periodi anche dieci libri in attesa) che mi tenevo sulla libreria in modo che terminato quello che stavo leggendo la decisione su cosa leggere era già stata da tempo presa. Ovviamente all’epoca – gli squattrinati studi universitari – la maggior parte di quei libri veniva dalla biblioteca e spesso ero costretto a prorogare più e più volte il prestito prima di riuscire ad esaurire la lista di lettura.

Ma Manguel sa anche essere perfidamente acido come quando scrive che “Al lettore ideale non interessano gli scritti di Bret Easton Ellis”: chissà se si riferisce ai suoi libri o alle sue uscite un po’ ad effetto (come, ad esempio, quando ha detto o scritto che Kathryn Bigelow ha successo ad Hollywood solo perché è una bella donna ma che i suoi film non sono questo granché). Comunque tendenzialmente il lettore ideale di Manguel è apparentemente un lettore di classici, da Cervantes a Stevenson, da Dante a Flaubert a Salinger, ecc. Sarebbe bello misurare il suo lettore ideale anche con lo spettatore ideale, con il video/giocatore ideale, con l’ascoltatore ideale (e ovviamente relative controparti femminili).

Alberto Manguel

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