Musica e linguaggio

Giorni fa in un gruppo su un social stavo discutendo sullo status di linguaggio o meno della musica. Il mio punto di vista era che la musica fosse un linguaggio (basando tale punto di vista sulla grammatica notazionale della musica classica occidentale presa come versione musicale di lessico e sintassi) ma mi si opponeva che la musica a differenza di un linguaggio non trasmette un contenuto informativo ma un’impressione emotiva che per di più varia a seconda dell’ascoltatore. Una delle persone con cui stavo discutendo mi ha menzionato il testo Condotte musicali di Delalande segnalando che l’autore vi riprendeva la teoria piagetiana del gioco. Al di là della questione sullo status linguistico della musica, ovviamente mi ha molto incuriosito questa vicinanza tra musica e gioco e ho voluto approfondire recuperando il libro di François Delalande Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica (a cura di Giovanna Guardabasso e Luca Marconi, CLUEB, 1993). Si tratta di una raccolta di saggi e interventi a convegni relativi a quella che sostanzialmente potremmo chiamare pedagogia musicale. In particolare vorrei qui soffermarmi su due punti dell’esposizione delalandiana: la ripresa da Piaget della periodizzazione ludica nell’infanzia e il concetto di “condotta”.

Prima però un accenno alla questione da cui l’interesse è partito: musica e linguaggio. A questo proposito Delalande scrive:

La musica non è comunicazione secondo il modello (peraltro approssimativo) del linguaggio, in cui esiste un contenuto da trasmettere grazie a un codice condiviso dall’emittente e dal destinatario. Essa è invece un’esperienza di ricezione che genera piacere ed emozione e che fa eco, ma senza alcuna garanzia di conformità, all’esperienza di un altro – il produttore – che ha trovato a sua volta piacere nella propria condotta, ma forse non per le stesse ragioni. (p. 176)

In realtà non è che nel linguaggio ci siano maggiori garanzie di conformità, come abbiamo visto leggendo Watzlawick, e quindi forse, più di questa obiezione delalandiana, mi lascia perplesso il considerare altri tipi di musica (come quelli di cui ho scritto qui) che non solo nascono senza partitura ma per i quali una qualsiasi partitura sarebbe impossibile, e che quindi non hanno né grammatica né sintassi che non siano autogenerate al loro interno e sostanzialmente valgano solo per essi. Il “problema” è che, accettando questa prospettiva, la musica non è altro che una variante di grado (assai) elevato di forme di comportamento animale quale il canto degli uccelli o quello delle balene (mentre un linguaggio è un vero e proprio salto evolutivo che non ha precedenti nelle altre specie animali: ne ho scritto qui a proposito del libro L’alba del linguaggio). Non potrebbe essere invece proprio la comunicazione musicale l’“anello mancante” tra il linguaggio e le forme animali di comunicazione? Ma l’ipotesi è ardita e non fondata su altro che sulla fantasia, per cui la lascio agli studiosi seri e torno ad occuparmi invece del gioco.

Piaget e le tre forme principali di gioco

Nel mio contributo pubblicato su Biblioteche Oggi Trends nel 2022 avevo accennato alla duplice accezione nella lingua inglese del termine “gioco” come “game” e “play”, dove però “play” – che ha il significato di attività ludica, di giocare – ha anche il significato di suonare. Scopro ora che cosa analoga accade anche in francese dove “jouer” significa giocare ma anche suonare. Anche per questo Delalande non fatica ad utilizzare la categorizzazione ludica piagetiana per evidenziare le fasi dello sviluppo dell’interesse per la musica nel bambino. Piaget ha distinto tre forme principali di gioco che collega a tre diverse fasi dello sviluppo infantile (anche se tale progressione è stata da altri autori criticata): il gioco senso-motorio, il gioco simbolico e il gioco di regole. Vediamo da subito come sia poco rilevante assegnare una progressione a queste tre tipologie di gioco dato, ad esempio, che il gioco simbolico è legato al “fare finta che” da cui nasce il gioco di ruolo che può benissimo non sfociare nel gioco di regole. La tripartizione piagetiana non è alternativa alle categorie cailloisiane, anzi può essere aggiunta ad esse, approfondendone ulteriormente l’analisi ludica. In particolare quello che è interessante in questa prospettiva è che supera l’impasse della definizione suitsiana di “gioco” facendo rientrare all’interno del ludico anche attività che la definizione di Suits escludeva (sostanzialmente buona parte dei giochi appartenenti alla categoria cailloisiana di Ilinx). Chiaramente Delalande trasporta tale tripartizione a livello musicale mostrando il progressivo interesse del bambino per la produzione di suoni che inizialmente è casuale, si trasforma poi in modalità simbolica (ad esempio il mimare il rumore di oggetti tramite i giocattoli) per sfociare nell’interesse per le regole che permettono la vera e propria costruzione musicale. In tutti e tre i periodi o modalità, il rapporto tra il bambino (ma in generale per la persona) e il “jouer” – musica o gioco che sia – è determinato però dalla “intenzionalità”: la persona cioè non s’imbatte casualmente nell’oggetto musicale (o ludico) ma l’oggetto musicale (o ludico) è il risultato voluto dell’azione.

Dalle condotte musicali alle condotte ludiche

Questa intenzionalità porta Delalande al concetto di “condotta”:

Il termine “condotta” è attinto da una psicologia di ispirazione funzionalista ed è stato introdotto dallo psicologo francese Pierre Janet. Molto usuale nelle opere scritte nelle lingue neolatine, si distingue da “comportamento” e designa un insieme di atti elementari coordinati da una finalità, con questi due criteri di coordinazione e finalità come elementi definitorii. Ragionare in termini di condotte piuttosto che di comportamenti significa interrogarsi sulla funzione degli atti. Chi prende il proprio strumento, si appresta a suonare e suona, cosa cerca, cosa si attende da questo insieme di atti coordinati? È proprio grazie alla finalità che potremo distinguere la condotta musicale. (p. 45)

e

La musica non deve dunque essere considerata come un insieme di oggetti (sonori o grafici), ma come un fascio di condotte, che consistono nel farla e nell’ascoltarla. (p. 249)

Si avrebbe torto a considerare l’oggetto come una “cosa” che si può descrivere indipendentemente dalla sua produzione e dalla sua ricezione. In realtà, l’oggetto-musica non può essere definito senza le condotte che lo “costituiscono” (…) (p. 250)

Partiamo esattamente dalla fine sostituendo gioco a musica: l’errore a questo punto – da Wittgenstein a Suits a tutti quelli che seguono, è il cercare di definire l’oggetto-gioco (il “game”) piuttosto che o senza tenere in considerazione la condotta ludica (il “play”). Se l’oggetto-gioco – e ha qui ragione Wittgenstein – non ha specifiche uniche che siano presenti in tutti i singoli oggetti-gioco che possono essere presi in considerazione e quindi non si adegua ad una definizione unica e coerente, occorre allora rivolgersi alle pratiche di gioco, alle condotte ludiche e trovare in esse una definizione (non più del gioco ma) del giocare. Occorre, seguendo Delalande e applicando la sua analisi al diverso contesto, non fissare l’analisi sugli oggetti che sono i più disparati possibili passando dai giocattoli infantili agli iper-regolamentati “german” ai videogiochi, ai giochi sportivi, ecc., esattamente come la semiologia musicale non può trovare un unico comune denominatore in oggetti musicali che vanno dal canto gregoriano all’heavy metal, al puro rumore registrato in ambienti deserti, ecc. Il denominatore che permette la definizione del medium non è l’oggetto-gioco ma la condotta ludica che va studiata utilizzando le varie categorie finora individuate (da Caillois, da Piaget, ma non escludo neppure il tentativo di classificazione di Bianchini e Minini) in un’ottica di specifica psicologia di un’attività umana. Del resto questa è la lezione di Bernard De Koven: quel che conta non è il gioco (game) ma il giocare (play). Occorre che anche la ludologia faccia ora questa rivoluzione copernicana “traducendo” quanto scrive Delalande: il gioco non deve dunque essere considerato come un insieme di oggetti (giochi da tavolo, di ruolo, sportivi, videogiochi, giochi liberi, giocattoli, ecc.), ma come un fascio di condotte, che consistono nel crearli e nel praticarli.

Francois Delande

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GOCCIA DI SAGGEZZA

Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson