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Della nuova collana di DelosDigital Fantascienza resistente, a cura di Laura Coci e Roberto Del Piano mi sono fatto intrigare maggiormente dalla seconda uscita, il romanzo Rubare al cielo di Emanuela Rosso (di cui ho scritto qui) che però, per quanto avvincente, rientra relativamente poco nei principi espressi nel Manifesto della Fantascienza Resistente pubblicato in calce al primo volume: ribellarsi al revisionismo presente anche nella fantascienza (ad esempio attraverso l’elaborazione di percorsi ucronici dove il fascismo non è stato sconfitto o dove Mussolini – non essendosi alleato con Hitler – è rimasto al potere, ecc.) per presentare invece nuovi e migliori futuri possibili, per presentare scenari in cui si lotti assieme perché si affermino stili di vita e di comunità (aperte e solidali) alternative rispetto al dogma individualista e liberista dominante, perché si rafforzi il fronte della guerra che vede le donne in trincea contro il patriarcato assassino.

Ecco allora che la fantascienza che amiamo, la fantascienza che vuole cambiare il mondo, la fantascienza che vuole dare una chance alla pace, al futuro di Terra, alla giustizia, si fa antifascista, comunistica, femminista: in una parola, resistente. (p.141)

A differenza del secondo volume della collana – il romanzo Rubare al cielo che, come ho scritto nel post ad esso dedicato, pur avendo per protagoniste un gruppo di donne (ed esprimendo tematiche LGBT), non si può affermare (nonostante l’introduzione in questo senso di Coci) che presenti una storia anti-patriarcale, antifascista o, in generale, che promuova una consapevolezza politica: resta “semplicemente” una storia appassionante e avvincente – il primo: Meglio porco che fascista! curato da Coci e Del Piano, che raccoglie nel titolo l’iconica affermazione del protagonista del film di Miyazaki a cui s’ispira il premio i cui 8 racconti finalisti vi sono presentati, centra in pieno l’obiettivo del Manifesto. Per quanto il racconto vincitore sia Il paese dei balocchi della veterana autrice di fantascienza italiana Daniela Piegai, nessuno degli altri è meno che buono e, a seconda dei gusti personali, la lettrice e il lettore troveranno sicuramente materiale narrativo adatto ai propri gusti.

Ecco l’elenco dei racconti:

  • Nel silenzio di Giuliano Cannoletta,
  • La cucina di MarX e Dio Profitto di Elisa Franco,
  • Ya lyublyu SSSR1 di Roberto “Robiz” Pastene,
  • Pojéchali! (Si va!) di Mario Pesce,
  • Il paese dei balocchi di Daniela Piegai,
  • Primum non nocere di Mariano Rampini,
  • Rosso cinabro di Silvia Tebaldi,
  • Sangue chiama sangue di Vanessa West

a cui si aggiunge il saggio Giurie di ogni genere di Angelica De Palo e il già menzionato Manifesto della Fantascienza Resistente.

Le tematiche presentate sono varie, ma prevalgono scenari in cui il futuro più o meno prossimo è visto in rapida discesa verso l’omologazione (come nel racconto di Piegai dove il gioco viene assunto come forma unica e oppressiva di educazione), in una divisione abissale tra fasce di reddito altissime e infime (dove per avere l’opportunità di guadagnarsi qualcosa si è costretti a vendere organi del proprio corpo, come nel racconto di Elisa Franco), dove i lavoratori sono separati e impossibilitati a confrontarsi e organizzarsi (ognuno operante a distanza il proprio dispositivo come nel racconto di Cannoletta) o in cui la sopraffazione sul genere femminile aumenta (come nel racconto di Silvia Tebaldi). Ma ci sono anche i futuri lontani come quello di Melissa West che richiama il conflitto wellsiano tra Eloi e Morlok, o le storie apparentemente personali come quella che Rampini che narra di un medico travolto nella bufera di una guerra per amore di una affascinante combattente, quelle che indagano sui passati e presenti possibili come quella di Pastene che ci mostra un meccanico aggiustare un’astronave proveniente da una dimensione in cui il comunismo perdura nell’Unione Sovietica o quello di Pesce che cerca di immaginare cosa sarebbe potuto accadere nel mondo se la missione di Jurij Gagarin non avesse avuto successo. Alla fine poco importa davvero quale sia il racconto giudicato vincitore: ogni lettrice, ogni lettore ha il diritto di assegnare il proprio personale premio ad uno o più d’uno dei racconti. Per quel che mi riguarda quel che ho amato di più è stato proprio il primo, che mi ha rimandato ad una lettura e ad un post di 3 anni fa: Work Without the Worker. Labour in the Age of Platform Capitalism (Verso Books) di Phil Jones. In quel libro Jones mostra la deriva verso il microlavoro mentre Cannoletta nel suo racconto rappresenta l’esasperazione dello “smart” working, ma i risultati sono gli stessi: impedire ai lavoratori di confrontarsi e organizzarsi. Gabbo – il protagonista del racconto – inizia nella logistica il lavoro di manovratore a distanza di un robot per il carico e lo scarico. Il robot che manovra – come gli altri operati dai colleghi – sono privi di dispositivi audio, per cui gli operai, ognuno a casa propria coi dispositivi di guida forniti dalla ditta, non possono conversare. Ma Gabbo ha una figlia sorda per comunicare con la quale ha dovuto imparare il relativo linguaggio ed usa lo stesso linguaggio per iniziare a confrontarsi e socializzare anche coi colleghi. La direzione aziendale ben presto lo ammonisce e lo minaccia di licenziamento. E la cosa dimostra bene, secondo me, la miopia aziendale a cui interessa di più il controllo sui lavoratori che non l’ottimizzazione e quindi la produttività del lavoro stesso (che i lavoratori comunicando possono ottenere, ad esempio aiutando chi si trovi in difficoltà). Probabilmente sono particolarmente sensibile a questi temi vivendo nella provincia della logistica dove magazzini sorgono come funghi rendendo sterile la precedente fertile terra padana, dove scioperi, manifestazioni e addirittura incidenti e morti nel settore sono all’ordine del giorno.

Ma, per concludere, un commosso omaggio devo riservarlo al racconto di Pastene, dove due nostri contemporanei si ritrovano alla presenza di un’astronave sovietica che sembra uscita dai film di Margheriti. Mentre il meccanico Rofus aggiusta il guasto che ne ha costretto l’atterraggio, Elisa siede su una panchina con la cosmonauta Nastalya chiedendole:

– Venite dal futuro?
– Da una dimesione parallela, per così dire.
– Dove ancora esiste l’Unione Sovietica.
– Sì. Il mondo è unito dal comunismo.

E non mi è possibile trattenere una lacrima di nostalgia per quel che avrebbe potuto essere e non è (mai) stato quando penso, come i due protagonisti – guardando partire l’astronave -: “Perché non gli abbiamo chiesto un passaggio?”

Link nel post:

Una replica a “Fantascienza resistente: i racconti del premio Porco Rosso”

  1. Avatar Libri letti nel 2024 – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] Laura Coci e Roberto Del Piano (a cura di) Meglio porco che fascista. Racconti (DelosDigital, 2024) […]

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

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