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Pubblicato lo scorso agosto, Il videogioco del mondo. Istruzioni per l’uso di Stefano Gualeni (Timeo), è uno splendido libro che spinge il lettore a riflettere filosoficamente sul videoludico e specialmente sui mondi virtuali digitali. In particolare Stefano Gualeni – filosofo e game designer, professore ordinario all’Institute of Digital Games dell’Università di Malta e visiting professor all’LCAD di Laguna Beach, California – dedica il nucleo centrale del libro a indagare i mondi videoludici da una prospettiva esistenzialista: utilizzando le riflessioni di Sartre e Camus, ma anche di Eugen Fink, di Michel Foucault e altri, per mostrare come i videogiochi sono vissuti come spazi di possibilità che sono non più aperti nella vita “reale” dei giocatori. Rispetto ad altri libri che mettono in rapporto videogiochi e filosofia, il libro di Gualeni è estremamente più stimolante perché non si limita a trovare temi di questo o quel filosofo in questo o quest’altro videogioco ma cerca di ragionare filosoficamente attraverso i videogiochi. E lo fa non solo nel libro (in questo o in quelli pubblicati per finalità accademica) ma anche nei “serious games” creati per indagare specifici concetti filosofici e che sono disponibili sul suo sito personale. Per questo Gualeni non parla tanto di videogiochi specifici, quanto del medium videoludico in quanto creatore di mondi virtuali digitali. Pur considerando nel medium videoludico aspetti di eccezionalità rispetto ai media che lo precedono, Gualeni lo ritiene sostanzialmente il linea con una loro prospettiva evolutiva e, in quanto tale, analizzabile non esclusivamente con strumenti creati appositamente: ciò in contrasto con i “game studies” in quanto si pongono in opposizione ad altri strumenti interpretativi del videoludico “importati” quale può essere la semiotica. Questa posizione “morbida” gli è necessaria per indagare non solo il videogioco come frutto della creatività umana, ma l’agire umano come influenzato dal videogioco. Gualeni infatti rifiuta esplicitamente posizioni che considera eccessivamente ottimistiche sul videogioco come medium in grado di guarire e migliorare tanto il singolo essere umano quanto l’umanità nel suo complesso (e il pensiero va inevitabilmente alla pur mai citata esplicitamente Jane McGonigal), anzi cita Marshall McLuhan dove dice che le innovazioni si trasformano inevitabilmente in “amputazioni” (ad esempio la scrittura – lo diceva già Platone – mina la facoltà della memoria) e si chiede come verremo penalizzati dall’introduzione dei mondi virtuali digitali. Anzi, in realtà si risponde anche (dopo aver menzionato di come i mondi virtuali digitali producano fenomeni di disagio e alienazione come quello degli “hikikomori”):

Con infiniti mondi di finzione da esplorare interattivamente, con la loro reversibilità e rigiocabilità, e con la possibilità che questi ci offrono di assumere e poi abbandonare soggettività insolite e identità alternative, i mondi virtuali non ci danno accesso solo a esperienze straordinarie: nella loro finitezza e ripetitività e nel particolare tipo di tedio esistenziale a cui ci espongono, ci rivelano anche – e forse soprattutto – nuovi modi per scoprirci indeterminati, carenti e insignificanti. (p. 147)

Senza voler diminuire in alcun modo l’interesse per questo libro importantissimo per capire come sia possibile riflettere filosoficamente con i videogiochi, tuttavia qualche spunto di critica mi sembra sia possibile muoverlo alle posizioni gualeniane.

Innanzitutto tratta il gioco come se fosse esclusivamente gioco di ruolo digitale. Non un caso che io abbia sempre usato sopra il concetto “mondi virtuali digitali”: nel libro di Gualeni i mondi virtuali sono sempre digitali e implicano sempre l’assunzione di un ruolo da parte del giocatore. Ora non sostengo che per Gualeni sia sempre così, ma in Il videogioco del mondo non si parla di altri mondi virtuali che non siano digitali e che non prevedano che il partecipante assume una “maschera” cioè un ruolo diverso rispetto a quello della vita “reale”. Intanto non tutti i mondi virtuali sono digitali (lo sa benissimo anche Gualeni, dato che accenna ai LARP – i giochi di ruolo “live action”) e non tutti i videogiochi (o i giochi) presuppongono l’assunzione di un ruolo. Per certi versi anche alcuni videogiochi che pure prevedono un ruolo da un punto di vista formale, non implementano meccaniche ruolistiche: ad esempio in DOOM il giocatore impersona un marine spaziale, ma questa impersonificazione non ha nessun risvolto ludico o narrativo, tanto è vero che di questo marine abbiamo consapevolezza solo dell’espressione facciale che ci serve come indicatore per il livello di danno o per quello dell’efficacia della nuova arma appena raccolta. Indicatore del resto che in Quake e in molti altri FPS successivi scomparirà. Ma quello dei giochi che prevedono l’assunzione di una maschera/ruolo è solo una delle tipologie ludiche (e Roger Caillois è un altro degli studiosi che Gualeni non cita mai) e ve ne sono altre in cui questa “meccanica” non solo è secondaria ma dove addirittura è del tutto assente. Forse che questi video/giochi non sono in realtà mondi virtuali digitali? Ma allora Gualeni avrebbe dovuto esplicitare e motivare la dicotomia tra videogiochi che sono mondi virtuali e videogiochi che non lo sono. D’altra parte mondi virtuali non sono solo quelli videoludici: oltre ai LARP ci sono giochi di ruolo di varie tipologie e tutti prevedono la creazione di una realtà fittizia in cui immergersi. Il gioco di ruolo è poi l’esempio principe ma qualsiasi narrazione – letteraria, teatrale, cinematografica, fumettistica, ecc. – se efficace, immerge il suo fruitore in un mondo virtuale in cui perde, per il periodo in cui vi è immerso, la consapevolezza del mondo “reale” in cui vive. Pensiamo al meccanismo del “flow” che Mihály Csíkszentmihályi non limita ai videogiochi ma che anzi studia in contesti del tutto “analogici”, pensiamo al concetto di “lettura profonda” esposto da Maryann Wolf: una pratica che ci consente di effettuare esperienze in forma virtuale, senza cioè che ne facciamo esperienza nella realtà grazie alla capacità del nostro cervello di attivare quelle zone legate alle attività o emozioni di cui stiamo leggendo (qui il mio post di presentazione del libro di Maryann Wolf Lettore vieni a casa). In questo senso il fenomeno di alienazione e isolamento, di cui quello dell’hikikomori è un esempio, non è “necessariamente provocato” dalla introduzione nella società umana dei videogiochi: “semplicemente” i videogiochi sono un elemento che facilitano l’isolamento, la separazione della persona da un detestato contatto fisico o dalla difficoltà di adattarsi alle regole sociali.

Nel passo sopra citato Gualeni parla di ripetitività e insignificanza; poco prima si chiedeva se una esperienza come quella della vicenda di Anne Frank, inserita in un videogioco, non ne sminuisse il significato e la paradigmicità: se posso scegliere di salvare Anne Frank, la sua storia non sarà sminuita come paradigma della tragedia dell’Olocausto? La risposta è probabilmente sì, ma occorre anche distinguere tra opera significativa o meno. In questo caso avremmo di fronte probabilmente un’opera minimamente significativa, diversamente ad esempio del gioco di ruolo Prima vennero (MS Edizioni) dove il punto di vista non è unilateralmente quello di una ipotetica Anne Frank ma quello di fuggitivi come lei che si nascondono alle perquisizioni della Gestapo nella Berlino della Seconda guerra mondiale. E la fase più importante di questo gioco (non video-) è proprio il “debriefing”, che Gualeni (giustamente) denuncia insufficiente o assente in tanti videogiochi: la fase più importante e significativa è quando alla fine del gioco ognuno descrive le sensazioni sperimentate. È proprio giocando ad un gioco come Prima vennero che la storia di Anne Frank esce dal mero noioso compito scolastico per diventare esperienza vissuta. In questo senso mi sembra deleterio rinfacciare a tutto il medium video/ludico il rischio di banalizzare storie ed eventi significativi ma occorre invece creare spazi e strumenti per una critica video/ludica che sappia valutare le opere in base a criteri discussi e condivisi e che sappiano andare oltre le veline del marketing.

Stefano Gualeni
Stefano Gualeni

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Una replica a “Virtuale e/o digitale? Riflessioni da “Il videogioco del mondo” di Stefano Gualeni”

  1. Avatar Libri letti nel 2024 – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

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