Quando ho visto la presentazione editoriale della ristampa di Nietzsche di Gilles Deleuze (SE) non potevo non essere irresistibilmente attratto dall’opera:

Noi, lettori di Nietzsche, dobbiamo evitare quattro possibili fraintendimenti: 1. sulla volontà di potenza (credere che la volontà di potenza significhi “desiderio di dominare”, o “volere la potenza”); 2. sui forti e i deboli (credere che i più “potenti”, in un dato regime sociale, siano perciò stesso dei “forti”); 3. sull’eterno ritorno (credere che si tratti di un’idea antica, ripresa dai Greci, dagli Indù, dai Babilonesi…; credere che si tratti di un ciclo, ovvero di un ritorno dello Stesso, di un ritorno allo stesso); 4. sulle opere dell’ultimo periodo (credere che queste opere siano eccessive o già squalificate dalla follia).

In particolare la frase che ho evidenziata mi ha sollecitato a leggere l’interpretazione nietzscheana di Deleuze che ha dedicato due opere a Nietzsche: Nietzsche e la filosofia (del 1962; attualmente disponibile in italiano nel catalogo Einaudi) e Nietzsche (del 1965; attualmente disponibile in italiano nel catalogo SE). Deleuze è anche il promotore, nel 1964, di un convegno su Nietzsche che rilancia in Francia gli studi sul pensatore ripulendolo dalle scorie dell’ideologia nazista che lo gravavano grazie all’edizione de La Volontà di Potenza da parte della sorella e all’interpretazione heideggeriana e inserendolo nel dibattito filosofico e politico che animerà il maggio francese. Da bibliotecario ho – incoscientemente – privilegiato la lettura cronologica dei testi per scontrarmi col fatto che il più recente è una introduzione – con antologia di testi nietzscheani – proprio al primo che invece è un interpretazione volta a rendere in forma sistematica la prospettiva filosofica nietzscheana: in Nietzsche sono riassunte le oltre 300 dense pagine di Nietzsche e la filosofia in neanche 20 pagine (dato che il restante del libro è dedicato ad un profilo biografico ed alla selezione di passi dai testi nietzscheani originali). Onestamente non ho la cultura filosofica sufficiente per offrire un giudizio su tale interpretazione che richiederebbe ben maggiore competenza sia sulla filosofia deleuziana sia su quella nietzscheana. Mi permetto solo due annotazioni, la seconda delle quali appunto sul concetto di eterno ritorno.

Contro la dialettica

einaudi

Per Deleuze tutta l’opera di Nietzsche è una critica e un tentativo di superamento della dialettica che percorre per intera la filosofia occidentale da Socrate ad Hegel (e Deleuze per buona misura c’inserisce pure l’interpretazione heideggeriana). Non un caso che gli unici filosofi a cui Deleuze accosta Nietzsche non criticamente siano i presocratici e, in particolare, Eraclito. Per Nietzsche, secondo Deleuze, il mondo è composto da forze attive e da forze reattive che si rapportano in un processo o divenire sensibile:

1) forza attiva come potenza di agire o di comandare; 2) forza reattiva come potenza di obbedire o di essere agiti; 3) forza reattiva sviluppata come potenza di scindere, di dividere, di separare; 4) forza attiva divenuta reattiva come potenza di essere separata, di volgersi contro di sé. [Nietzsche e la filosofia, p. 94-95]

Questo processo – incarnato dalla dialettica e dal cristianesimo – è quello che porta alla svalutazione dei valori, al tramonto dell’uomo che deve perire per permettere la trasvalutazione e la nascita del super-uomo. Ma questo “gioco” di forze, mi permetto di osservare, è esattamente un processo dialettico necessario per il traguardo auspicato dell’avvento di un super-uomo che affermi la vita con riso e danza invece di negarla. Per cui la dialettica, cacciata rumorosamente dalla porta, finisce per rientrare alla chetichella dalla finestra?

La questione dell’Eterno Ritorno

Riporto da Nietzsche:

…il gioco dell’eterno ritorno. Ritornare è precisamente l’essere del divenire, l’uno del molteplice, la necessità del caso. Così bisogna evitare di fare dell’eterno ritorno un ritorno dello Stesso. (…) Non è lo Stesso che ritorna, poiché il ritornare è la forma originaria dello Stesso, che si dice solamente del diverso, del molteplice, del divenire. Lo Stesso non ritorna, è soltanto il ritornare che è lo Stesso di ciò che diviene. [p. 35]

Il segreto di Nietzsche è che l’eterno ritorno è selettivo. E doppiamente selettivo. Innanzi tutto come pensiero. Perché ci da una legge per l’autonomia della volontà liberata da ogni morale: qualsiasi cosa io voglia (la mia pigrizia, la mia golosità, la mia viltà, il mio vizio come la mia virtù), io «devo» volerla in modo tale da volerne anche l’eterno ritorno. (…)

E l’eterno ritorno non è solamente il pensiero selettivo, ma anche l’essere selettivo. Ritorna soltanto l’affermazione, ritorna solo ciò che può essere affermato, soltanto la gioia ritorna. Tutto ciò che può essere negato, tutto ciò che è negazione è espulso dal movimento stesso dell’eterno ritorno. (…) L’eterno ritorno dev’essere paragonato a una ruota. Ma il movimento della ruota è dotato di un potere centrifugo che espelle ogni negatività. Perché l’essere si affermi dal divenire, esso espelle da sé tutto ciò che contraddice l’affermazione, tutte le forme del nichilismo e della reazione cattiva coscienza, risentimento…, le si vedrà una sola volta. [p. 36-37]

Deleuze stesso riconosce che una lettura “alla lettera” del testo nietzscheano indurrebbe all’interpretazione opposta di un eterno ritorno come movimento ciclico del tutto, “in cui lo Stesso ritorna e che ritorna allo stesso” ma, ci spiega, “Nietzsche è un filosofo che «drammatizza» le idee”. Così per Deleuze, Nietzsche vuol dire non tanto quello che scrive, ma quello che Deleuze ci legge. E cosa ci legge Deleuze? Che l’eterno ritorno non è un ritorno nel senso banale, quanto l’essere del divenire. Se non che – lo abbiamo appena letto – dobbiamo (attenzione: “dobbiamo” non “possiamo”) paragonarlo ad una ruota in movimento la cui forza centrifuga “espelle ogni negatività”. Ma: e se la negatività io l’avessi voluta? Se la negatività – ad esempio la mia indolenza – per riprendere l’esempio deleuziano – io consapevolmente la volessi come elemento ritornante del mio essere, anch’essa sarebbe espulsa o al contrario sarebbe trattenuta? Tutto quello che io voglio consapevolmente come tratto ritornante non è dunque negativo ma, di principio, positivo? Inoltre: se “devo” paragonare l’eterno ritorno ad una ruota, come è possibile disgiungerne il concetto da quello di “ciclo”, di uno stesso che ritorna e che ritorna allo stesso? L’unica accezione coerente ed effettivamente agganciata a quello che sembra voler dire Nietzsche – anche secondo altre interpretazioni del concetto, sia che lo accolgano positivamente, sia che lo critichino – mi pare pertanto quella relativa all’eterno ritorno come pensiero, che in qualche modo si aggancia all’imperativo categorico kantiano: agire considerando tale azione come universale o piuttosto come “degna” di essere ripetuta in eterno. Come poi sia effettivamente la dimensione temporale e se essa si declini o meno in cicli e come si estenda nell’eternità non può che essere questione di speculazione. L’unica cosa che si chiede a tale speculazioni è che almeno siano (internamente) coerenti, altrimenti il rischio è di proporre teorie terminologicamente altisonanti che però alla fine non offrono alcun contributo al dialogo e alla riflessione.

A proprosito: la frase usata come “aggancio” editoriale non è la premessa, come sperato, ma esattamente la conclusione di Nietzsche. La colpa di ciò non può certo essere attribuita a Deleuze, ma mi sembra evidente che la forza della filosofia nietzscheana è proprio certa aforistica interna incongruenza e contraddittorieta della sua modalità “drammatica” di esporre che – incastrata a forza in un sistema – diventa semplicemente (troppo semplicemente) oscura, per quanto complesso sia il sistema risultante.

Nei link il rinvio a qualche altro mio post dove accenno a questi temi.

deleuze
Gilles Deleuze

Link nel post:

Una replica a “Deleuze e l’eterno ritorno”

  1. Avatar Libri letti nel 2024 – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] Gilles Deleuze Nietzsche e la filosofia e altri testi (Einaudi, 2002) […]

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