robot

L’Urania di settembre è il secondo (e per ora ultimo) romanzo dedicato alla serie Monk & Robot di Becky Chambers: Un salmo per l’universo (Urania n. 1730; il precedente, Un salmo per il robot è uscito nel n. 1722 di gennaio). A proposito di questa saga (meglio: bilogia) si sono utilizzate varie etichette letterarie: “cosypunk”, “hopepunk”, “solarpunk”. In realtà l’unico aspetto di tutte e tre le etichette che sembra fuori luogo è il suffisso -punk: i due romanzi sono quanto di più lontano possibile da qualsiasi accezione del punk storicamente assestata. Per chiarire cosa si intenda per punk riporto la descrizione che ne da Wikipedia nella sezione “Ideologia”:

Risulta impossibile collocare l’“ideologia” punk in un’unica corrente di pensiero, dato che col tempo il movimento si è suddiviso in un’infinità di diverse classificazioni, che vanno dall’anarchismo al comunismo fino al nazismo, oppure semplicemente la neutra apoliticità, o il rifiuto dell’appartenenza ad ogni ideologia.

A unire tutti gli appartenenti al movimento punk sotto un’unica causa è il rifiuto per qualsiasi forma di controllo, tra cui il controllo sociale esercitato dai mass-media e dalle organizzazioni religiose. [evidenziazioni mie]

Rientrano perfettamente in questa accezione del punk le due prime correnti letterarie a farne uso: il cyberpunk e lo splatterpunk. Già lo steampunk riprendeva il suffisso -punk più per moda che per intima adesione ed ora decisamente cosypunk, hopepunk e solarpunk hanno ben poco a che fare col punk “classico”. Ma cosa sono queste tre categorie letterarie e come ci si inserisce la bilogia della Chambers? Cosy (o cozy) significa accogliente, confortevole; hope significa speranza e solar (ovviamente) solare. Il primo termine indica una narrativa che non spinge l’acceleratore sui conflitti e sulle tensioni drammatiche, ma che piuttosto si svolge placida e rilassante; il secondo che è una narrativa che non induce alla disperazione (ad esempio evidenziando catastrofi sociali o climatiche); il terzo che pone di fronte a scenari in cui l’umanità ha svoltato verso comportamenti ecosostenibili. Ed effettivamente Un salmo per il robot e Un salmo per l’universo (in originale rispettivamente A Psalm for the Wild-Built e A Prayer for the Crown Shy) sono romanzi in cui questi tre aspetti sono paradigmatici.

universo

Ma vediamo di cosa parlano. Innanzitutto l’ambientazione: una luna, con un solo continente. Durante il periodo di massima espansione industriale sono state create schiere di robot per svolgere i lavori pesanti ma, ad un certo punto, essi hanno acquisito coscienza ed hanno rifiutato di continuare a svolgere i lavori. Questo ha prodotto un completo ripensamento del modello di sviluppo: i robot sono stati liberi di condurre la loro esistenza come ritenevano in un’area del continente lasciata libera dalla presenza umana – le terre selvagge – e il modello industriale basato sul petrolio e su creazione e utilizzo di materiali ecologicamente insostenibili abbandonato in favore di riciclo e riuso in tutti gli ambiti della vita, comprese strade e edifici, sia nei villaggi sia nell’unica città di Panga. Gradualmente l’equilibrio ecologico della luna si è ripristinato ed è in questo momento che ha inizio la storia del monaco Dex che si occupa, nel monastero dedicato a Allalae (Dio delle Piccole Comodità), di tenere curato il giardino. Dex è raffigurato mediante diversi tra gli stereotipi dell’omosessuale: pieno di dubbi, fissazioni e insoddisfazioni. Una di queste è quella di non vivere a maggiore contatto della natura, potendo addormentarsi ascoltando il canto dei grilli. Questa insoddisfazione lo spinge ad abbandonare il proprio ruolo per diventare un monaco itinerante che svolge il servizio del tè nei villaggi. Il servizio del tè si adempie viaggiando a bordo di una sorta di roulotte a pedali (mi auspico a pedalata assistita) per i villaggi e mettendo a disposizione, per chiunque ne abbia bisogno, ascolto, comprensione, conforto e un tè caldo di una miscela appropriata per la situazione. Dopo un disastroso inizio, Dex mette a frutto le proprie conoscenze delle piante e diventa un vero e apprezzato esperto del servizio del tè. Ma sente che ancora non ha raggiunto il suo obiettivo e decide di inoltrarsi nelle terre selvagge alla volta di un antico monastero abbandonato. È proprio all’ingresso nelle terre selvagge che Dex incontra un robot – Cappello di Muschio – designato dalla comunità robot per indagare su come si sia evoluta la specie umana. Qui inizia una dinamica – spesso esilarante – “buddy-buddy” sui due che non si capiscono e a tratti si detestano ma che pian piano arrivano ad apprezzarsi a vicenda e a non poter più fare a meno l’uno dell’altro. Un salmo per il robot ci mostra Dex che finalmente – con il fondamentale aiuto di Cappello di Muschio – arriva al santuario (che si rivela meraviglioso, anche per il panorama) e riesce ad addormentarsi al suono del canto dei grilli. Prosegue poi in un salmo per l’universo con i due che escono dalle terre selvagge ed iniziano a girare per i villaggi umani di Panga per permettere a Cappello di Muschio di “studiare” l’evoluzione umana e agli esseri umani di vedere dopo secoli un robot. Assistiamo all’accoglienza in un villaggio entusiasta della novità ed in un altro dove la gente rifiuta la tecnologia e quindi è ostile al robot, per finire nella festa con cui la famiglia allargata di Dex accoglie il nuovo ospite.

Il tutto è un espediente per mostrare come le convinzioni profondamente umane (e, se vogliamo, classificabili col termine “woke” che caratterizza non il solo Dex ma tutta l’umanità di Panga) vengano messe alla prova dallo sguardo “ingenuo” e aderente a quello che può essere considerato un punto di vista “naturale” e pre-umano. La domanda che Cappello di Muschio pone – quasi ossessivamente – a Dex e agli altri esseri umani è “di cosa hai/avete bisogno?” (sia in termini individuali, sia in termini collettivi) ma le discussioni e le incomprensioni sono sull’utilizzo degli esseri viventi (ad esempio per scopo alimentare) e sulla loro uccisione, sulla distinzione tra diversi esseri viventi, sull’utilizzo della medicina e di impianti estranei, sulle dinamiche interpersonali, ecc. Fondamentalmente i due libri sono uno strumento che permette all’autrice e ai suoi lettori di riflettere – in modo divertente – su una serie di questioni etiche a cui normalmente è difficile prestare attenzione.

Se da un punto di vista strettamente narrativo Un salmo per il robot funziona decisamente meglio grazie alla tensione che spinge Dex a inoltrarsi nelle terre selvagge mettendo a rischio la propria vita, mentre Un salmo per l’universo, narrativamente parlando, non è che una serie di discussioni sullo sfondo di una “passeggiata” (anche se entrambi hanno vinto premi letterari: il premio Hugo nel 2022 il primo e il premio Locus nel 2023 il secondo). Entrambi però sono piacevoli e rilassanti ma, cosa più importante, spingono a riflettere. Per questo potrebbero essere utilizzati da chi si occupa di promozione alla lettura con ragazze/i e adolescenti per costruire con essi un ponte di riflessione e di dialogo su tanti aspetti della nostra civiltà contemporanea. La loro contenuta dimensione (nessuno dei due arriva a 150 pagine) è un plus per convincere anche i più recalcitranti e semmai diventa un problema il loro essere pubblicati in una collana che prima ancora che da ragazzi e ragazze è snobbata dagli educatori. E invece Urania ha sempre presentato perle narrative che potrebbero essere utilizzate a livello pedagogico. Ho già accennato qui come all’epoca dell’esame di Pedagogia all’Università scrissi una tesina sul rapporto tra la disciplina e la fantascienza. Per quel che mi riguarda, ad esempio, è stato fondamentale un racconto breve di Theodore Sturgeon, Via di casa (originalmente A Way Home, pubblicato nel 1953), presente nell’antologia Luci e nebbie, Urania n. 1045 pubblicato nel marzo del 1987. In questo racconto Paul, classico ragazzino di una classica cittadina americana degli anni ‘50, decide di scappare di casa. Sulla strada che lo porta fuori dalla città incontra diverse persone che ritornano nella cittadina dopo anni trascorsi altrove: chi ricco, chi povero, chi famoso. Paul pian piano capisce che sono tutte possibili versioni future di se stesso. E allo sceriffo che incrocia alla fine chiedendo un passaggio, alla domanda se stesse scappando di casa risponde che no, stava tornando indietro. Più volte ho tentato di proporre questo racconto come lettura alle classi ma ho sempre desistito perché non riesco a leggerlo senza commuovermi. All’epoca ero un po’ come Paul: più di tutto desideroso di lasciarmi alle spalle la soffocante cittadina di provincia in cui ero cresciuto. Darò dunque la colpa a Sturgeon per averci invece vissuto fino ad oggi ed avervi trascorso 35 anni ad occuparmi della sua biblioteca? Evidentemente no (anche se in effetti è servito a mettere in prospettiva certe mie apodittiche posizioni adolescenziali) come altrettanto evidentemente i romanzi della Chambers non ci faranno diventare tutti ecologisti, ma non di meno offrono, in una sorta di laboratorio limitato, questioni su cui riflettere. Laboratorio limitato perché il suo universo è ristretto ad una piccola luna con pochi esseri umani (una sola città) e nessun contatto con l’esterno (non si parla di via vai di astronavi): e questo è già una prospettiva molto astratta. Ma questo laboratorio limitato è esattamente l’ambiente che ci permette di simulare soluzioni per i nostri problemi e di riflettere sulle possibili difficoltà e ricadute. In modo rilassato e, tutto sommato, divertente: cosa che certo non guasta.

BC+author+photo
Becky Chambers

Link nel post:

Una replica a “Monk & Robot: la saga di Becky Chambers”

  1. Avatar Libri letti nel 2024 – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] Becky Chambers Un salmo per il robot (Mondadori, 2024) […]

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson