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Alberto Vanolo, oltre che professore di geografia politica ed economica presso il Dipartimento Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, è anche il papà di Teo, bambino autistico non verbale. Proprio la necessità di far acquisire competenze a Teo relative all’orientamento all’interno dello spazio urbano in cui vive, lo porta a compiere con lui “esplorazioni psicogeografiche” o “passeggiate situazioniste” per Torino, città in cui abitano. Questo osservare la città dal punto di vista di una persona autistica porta Vanolo, già autore di testi e contributi sulla geografia urbana, ad elaborare quattro principi per una “città autistica” e a pubblicarli nel libro, smilzo ma profondo, La città autistica (pubblicato lo scorso febbraio da Einaudi).

Malpensanti potrebbero argomentare che si tratta di una esigenza personale che si vuole imporre a tutte le persone “normali”. Per questo Vanolo inizia il libro con un approfondimento su cosa debba intendersi con “neurodiversità” mostrando come essa sia la normalità. Nonostante la condizione di diversità diffusa, la maggior parte di noi ha uno sviluppo neurologico relativamente simile, che viene fatto rientrare nella categoria di “neurotipico”, mentre una sempre più consistente minoranza (anche per il miglioramento delle analisi e delle capacità descrittive) ha una più ampia forbice di variabilità: queste sono le persone che vengono raggruppate sotto la categoria “neurodivergente” (e sono quelle normalmente etichettate come autistiche, dislessiche, iperattive, ecc.). Ma non per questo le persone “neurodivergenti” devono essere considerate “malate”: la neurodivergenza non è una condizione peggiorativa che si applica ad una persona ma piuttosto è una “faccetta” che contribuisce a definire quella persona che, senza la quale, sarebbe una persona diversa.

Questa linea di riflessione si va ad unire con quella dell’ambiente urbano come spazio che definisce la persona:

…le nostre identità ed esperienze sono sempre plasmate nello spazio, le categorie morali e concettuali che utilizziamo per interpretare la realtà sono specifiche di ogni luogo. (pos. 34/1370 dell’ebook)

e quindi

…immaginare differenti tipi di città è un modo per immaginare differenti forme di società, più o meno giuste o ingiuste, come ci insegna la tradizione della letteratura utopica (tutte le grandi utopie classiche sono legate a specifiche città immaginarie) o di quella fantascientifica. Così, di converso, ragionare sulla città autistica è un modo di immaginare una società dove l’autismo sia vissuto e immaginato in maniera differente. (pos. 101/1370)

Ma non solo l’autismo: tutti quei modi di essere divergenti da un concetto artificioso di “normalità” e che nel gergo comune finiscono nel calderone della “disabilità”. Applicando al concetto di “abilità” quella stessa cautela già applicata alla neurotipicità: ognuna/o di noi è disabile in un determinato tempo e per periodi più o meno lunghi. Per esempio: oggi non ho problemi a muovermi a piedi ma li ho avuti da bambino prima di imparare a camminare, li ho avuti in passato dovendo girare con le stampelle per una gamba rotta, e li avrò forse da anziano se dovrò muovermi con un deambulatore o una sedia a rotelle. Lo stesso ovviamente vale per tutte le altre possibili “disabilità” (cecità, sordità, mutismo, ecc.) che pongono le persone che si trovano fuori dall’artificioso perimetro della normalità in difficoltà in un ambiente urbano che non sia progettato in maniera esplicitamente inclusiva.

Vaniolo riprende a questo proposito la posizione queer che ha l’obiettivo di contenere ed esaltare tutte le diversità e la pone alla base di una politica nuova per (la progettazione della) città. Attraverso tale impostazione ecco che esplicita quattro principi generali per la città autistica:

  1. Una città autistica si sviluppa prendendo in considerazione l’esigenza, per alcune persone neurodivergenti, di limitare l’ammontare e l’intensità degli stimoli sensoriali nello spazio pubblico, a partire da quelli visuali, acustici e olfattivi.

  2. Una città autistica offre soluzioni per accedere a spazi, servizi ed esperienze per qualsiasi persona, incluse quelle neurodivergenti.

  3. Una città autistica promuove un’attitudine positiva verso la neurodiversità, la stranezza e l’eccentricità [la queerness] in tutte le sue forme non violente, a prescindere dalle diagnosi e dalle etichette attribuite alle persone o dai percorsi individuali di soggettivazione e identificazione.

  4. Una città autistica incoraggia trasformazione, sperimentazione, immaginazione e apertura a modi alternativi di guardare e intendere la realtà urbana. (pos. 1138/1370)

Non si creda però che avere esplicitato (spoilerato) i punti di arrivo di Vanolo ne prescinda dall’esame del percorso compiuto per arrivarci, perché, proprio come nelle “esplorazioni psicogeografiche” o “passeggiate situazioniste”, il percorso è spesso più importante dell’arrivo, e il percorso è la peregrinazione di Alberto e Teo per una Torino non sempre inclusiva cercando soluzioni artigianali a carenze progettuali, esplorando nel contempo i vari studi sull’autismo legati allo spazio, urbano e non (anche se Vanolo presenta – anche se non supporta esplicitamente – l’idea che tutto lo spazio – e non solo quello delle città – sia spazio urbano).

Per concludere: ci sono già politiche che vanno in direzione della città autistica? Può sembrare strano ma, pur non avendo il medesimo livello di consapevolezza di Vanolo né sull’autismo, né tanto meno sullo spazio geografico urbano, diverse suggestioni presenti nel suo libro possono essere trovate nel mio personale programma elettorale con cui mi ero candidato nel 2021 alle Amministrative per il Comune di Fiorenzuola. Qui è possibile vedere i tre punti del mio programma che voleva una Fiorenzuola ecologica, inclusiva e solidale, dove almeno gli ultimi due punti possono rientrare a pieno titolo i principi vanoliani, ancor più evidenti nel testo di un “comizio” tenuto dopo la partecipazione all’evento Lettori alla pari tenutosi a Terlizzi (BA) nel settembre del 2021. Il fatto che gli elettori non abbiano eletto il sottoscrittoil cui programma si inseriva coerentemente in quello della lista Cambiamo Fiorenzuola – dipende forse non solo dalla maggiore enfasi richiesta (ad un non politico “di professione”) ma anche da giochi politici interni totalmente estranei al contenuto dei programmi. Con questo non ritengo di avere a suo tempo sbagliato idee da proporre e questo me lo conferma oggi il libro di Vanolo che mi permette quelle idee di perfezionarle e metterle maggiormente a fuoco. Per la prossima volta o a disposizione di chiunque possa farne buon uso.

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