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Quasi esattamente un anno fa pubblicavo sul blog un post sul primo libro di Andrea Dado: Nel dubbio prendo risorse. Ora eccomi a scrivere del suo nuovo libro I punti si contano alla fine, come il primo pubblicato da dV Games ed acquistato al PLAY di Modena (con tanto di autografo dell’autore). Anche se può tranquillamente essere letto “da solo”, I punti si contano alla fine è il seguito di Nel dubbio prendo risorse. Il romanzo è scandito in 19 turni proprio come un gioco da tavolo (anche se dubito che un game designer utilizzerebbe un numero primo così alto) e intitolato con una delle frasi fatte tipiche dei giochi da tavolo (in particolare di quelli “german”). Lo psicologo che nel primo romanzo era l’unico a capire a che gioco stesse giocando il misterioso assassino, ora – ossessionato dalle esperienze traumatiche vissute – si trasferisce a Torino, dove aveva vissuto l’assassino (dato per morto annegato, ma il cui corpo non è mai stato ritrovato). Qui viene coinvolto dall’ispettore Mammarella come consulente nel caso dell’omicidio di un famoso autore di giochi da tavolo. L’autore, in casa propria, è stato costretto a mangiarsi, pezzo per pezzo, il suo gioco più famoso e poi gli è stata tagliata la gola. Stefano Scalcianti alterna la sua attività di psicologo a due indagini: quella professionale assieme alla polizia per individuare l’assassino del game designer e quella privata per cercare di portare allo scoperto il DavidBowie che per poco non lo aveva ammazzato e che in seguito ha fatto altri morti tra i giocatori, compresa una bomba fatta esplodere all’interno della fiera di Modena.

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Mentre iniziavo la lettura del libro mi accorgevo però della pubblicazione del nuovo libro di Gabriella Genisi dal titolo Giochi di ruolo (Marsilio) e appuravo non trattarsi di mera trovata editoriale ma che il nuovo giallo dell’autrice è effettivamente ambientato nel mondo dei giochi di ruolo. Mi sono preso così il tempo per recuperare e leggere pure quello per lo sfizio di mettere a confronto il libro (i libri) di un autore tutto sommato sconosciuto nel mondo letterario nazionale e quello di un’autrice affermata, alle cui opere è dedicata pure una serie televisiva (metto le mani avanti: che non ho visto). Giochi di ruolo non ha come protagonista Lolita Lobosco ma

Giancarlo Caruso, il fascinoso vicequestore siciliano in servizio a Padova che i lettori hanno conosciuto in Dopo tanta nebbia e nei successivi libri delle indagini di Lolita Lobosco, dopo un anno sabbatico trascorso in Puglia e il fallimento della sua relazione con la commissaria più famosa d’Italia, accetta l’incarico di primo dirigente presso il commissariato di Manfredonia, in provincia di Foggia (come specifica la quarta di copertina).

Caruso si ritrova a dover indagare sulle “banali” attività mafiose della zona, ma anche su un misterioso caso di omicidio di un facoltoso appassionato di giochi di ruolo, tornato solo di recente a vivere in Puglia a seguito della morte dei genitori, dopo aver abitato per decenni a Bologna dove per tutto il tempo aveva imbastito una lunghissima partita a Dungeons & Dragons.

Al netto della differenza di approccio al genere dei due autori – Dado vira al noir mentre Genisi al romance – la cosa che mi ha completamente stupito è che da un punto di vista letterario Dado sta una spanna intera al di sopra della Genisi. Ovvio l’approccio enormemente più consapevole al mondo del gioco da tavolo di Dado rispetto a quello di Genisi, che mette uno spiegone su cosa sono i giochi di ruolo e sulla loro storia all’interno di una telefonata in cui – come al solito – Caruso tenta più o meno sottilmente di convincere la Lobosco a tornare con lui. Ma questo, come già osservato, era ovvio. Meno ovvio è il diverso realismo con cui vengono descritte le vicende sentimentali dei due protagonisti.

Genisi si produce nella descrizione dei continui alti e bassi umorali di Caruso, a cui la Lobosco vuole restare amica senza però risvolti sentimental-sessuali, parzialmente sopiti dal rapporto col sostituto procuratore Alessandra Miranda, che si concede ma che resta gelosa dello spasimare carusiano per la vecchia fiamma.

Dado invece fa del suo protagonista uno scapolo che si concede, senza troppa passione, qualche avventura ma che, quando scocca la scintilla, è per la sorella di una persona autistica che abita nel suo palazzo che non manca mai di ripetergli che “non si scopa e non si pompa” (spoiler: a questo si riferisce il titolo). Anche l’ispettore di Dado, pur non descritto con la dovizia di particolari di Caruso, è sempre credibile, anche quando confessa a Stefano che – per togliersi di dosso la sporcizia con cui viene a contatto nel suo lavoro – nel tempo libero fa il clown per i bambini in ospedale.

Ma alla fine è il plot quello che conta in un giallo, e in quello della Genisi la scoperta dell’assassino alla fine mi ha fatto sbottare “e che ca**o!” non perché del tutto inverosimile, ma più che altro perché pare un finale posticcio per chiudere la storia della liaison tra Caruso e Lobosco. Soprattutto dopo che, nello spiegone sopra menzionato e nei colloqui con un esperto, il gioco di ruolo era in tal modo sponsorizzato come attività sana che alla fine il ricollegarlo nientemeno che ai misteriosi omicidi della Bologna degli anni ‘80 pare una forzatura senza giustificazione. La soluzione del plot fatta da Dado non è tanto più sorprendente, ma è legata chiaramente all’evoluzione della storia e al contesto editoriale ed economico dei giochi da tavolo, al cui interno è ambientato. Se un punto debole può essere sottolineato nel romanzo (nei romanzi) di Dado è quello di essere fin troppo breve, lasciando minimamente caratterizzati molti personaggi che meriterebbero un peso maggiore: ad esempio Emma, che Stefano cerca di conquistare o Vincenzo, finito in prigione per aver salvato la vita a Stefano (in Nel dubbio prendo risorse). Anche i due mafiosi che Stefano incrocia restano unicamente due maschere prive di sostanza, mentre il loro intreccio con la vita di Vincenzo e di Stefano avrebbero meritato una side quest più corposa. Però, per certi versi, i libri di Dado hanno un’asciuttezza e una visione cupa che mi ricorda quella delle storie di Jim Thompson: perfettamente in grado di descrivere la realtà italiana con gli stessi accordi con cui Thompson descriveva quella americana di quasi un secolo fa.

In conclusione non resta ora che attendere la PLAY dell’anno prossimo per acquistare il nuovo romanzo dedicato alla continuazione delle vicende dell’assassino seriale nel mondo dei giochi da tavolo e consigliare alla Genisi di giocare in prima persona: per essere maggiormente competente in materia di giochi non basta la documentazione.

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POST SCRIPTUM: ho parlato del confronto tra Dado-Genisi con colleghe e colleghi in biblioteca e più o meno tutte/i mi hanno obiettato che i romanzi di Genisi hanno maggiore fortuna editoriale di quelli di Dado perché offrono esattamente al loro pubblico quello che si aspetta. La mia prima reazione è stata quella di rallegrarmi – in maniera forse un po’ cattiva – di avere sempre avuto un atteggiamento snob sui libri che piacciono ai più (i cosiddetti “bestseller”). Ma poi non ho fatto a meno di pensare che ho piacevolmente letto tante “schifezze” di genere, ma non di meno ho sempre cercato, pur nella mancanza di originalità e/o di abilità stilistica, il “quid” che mi giustificasse e mi rendesse gradevole la lettura. Non ritenendo sufficiente il mero escapismo del leggere qualcosa mettendo in OFF il cervello. Altrimenti qual è il criterio per prendere questo piuttosto che quello? E comunque il fatto che Genisi non solo sia un’autrice di bestseller, ma anche abbia la serie dedicata ai suoi libri, dimostra che nel mondo reale in cui faccio così fatica a vivere hanno ragione loro (e Genisi) e torto il sottoscritto…

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