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Quando il collega ed amico Andrea Lanza (collega sulle pagine di Alias/il manifesto) mi ha chiesto se volessi leggere il suo primo, nuovo e allora ancora inedito romanzo, sono rimasto un po’ in imbarazzo. Negli anni passati ho ricevuto tante proposte di lettura, ma per lo più da editori per cui non mi preoccupava scrivere recensioni oneste e non edulcorate da amicizie o rapporti personali come invece capita quando a farti tali proposte è direttamente l’autore, sia esso persona conosciuta o meno. Eppure seguo con piacere tutte le uscite lanziane non solo sul manifesto, ma anche su Facebook (lo si trova sulla pagina legata al sito MalastranaVHS) e su YouTube (sempre sul canale targato MalastranaVHS). Tra l’altro durante il lockdown aveva inaugurato un divertente format video settimanale dove disquisiva amabilmente dei film più improbabili ed assurdi che sia possibile immaginare e che era stato un appuntamento imprescindibile per mantenere sanità ed equilibrio mentale nel periodo, ed è proprio sul canale YouTube che si sono trasferite tali video-disquisizioni. Non potevo dunque, anche solo per amicizia, sottrarmi. Ma, venendo a conoscenza del titolo – Lia, l’altra faccia dei Malavoglia – la perplessità aumentava. Non mi ricordavo praticamente nulla dalla lettura dei Malavoglia di Verga fatta in età scolastica (se non ricordo male, in quella che all’epoca era la prima superiore di un corso di studi oggi non più esistente: l’Istituto Magistrale). Ma, nello scorso dicembre, complice l’inattività forzata causata da un’ulcera gastrica che mi ha portato prima in ospedale e poi costretto a casa per una decina di giorni, a cui si sono aggiunte le festività, ho, come si suol dire, buttato il cuore oltre l’ostacolo e riletto prima l’originale (nell’edizione LiberLiber) e poi il libro di Andrea.

Non starò qui a parlarvi di Verga o dei Malavoglia: studiosi della letteratura italiana ben più competenti del sottoscritto sono disponibili. Basti dire che, riletto a distanza di oltre 45 anni, questo drammatico impasto di terra e acqua siciliane a cui usanze, pregiudizi e proverbi siciliani danno forma, mi affascina ma non mi stravolge. Forse perché – mi dico – il “verismo” non fa per me: preferisco il fantastico, un immaginario apparentemente alieno dalla banalità quotidiana, che proprio perché libero dal rispetto rappresentativo riesca dire di più e meglio sui problemi dell’oggi.

Arriviamo allora a Lia, romanzo che solo da poco ha visto la luce per Edikit. Come Andrea sarà riuscito a riprendere e riadattare il salato impasto verghiano? Come già accennato a proposito delle sue presentazioni filmiche, la cifra stilistica di Andrea è il pulp (consapevolmente anche in senso tarantiniano) e Lia non fa eccezione. Riprende una tra i sopravvissuti della famiglia e la rende protagonista, ma solo apparentemente. Lia, abbandonata da Verga nei postriboli catanesi, viene raccontata da Lanza venduta ad un facoltoso magnaccia giapponese per offrire una prelibatezza esotica ai suoi clienti. Ma qui Lia s’innamora di Ai solo per incorrere nelle ire del padrone ed essere uccisa una prima volta solo per poter rinascere come guerriera ninja (non ho citato Tarantino a caso) e far strame dei suoi padroni e poter tornare nella natia Aci Trezza al fine di vendicare pure la sua famiglia definitivamente sterminata da zio Cipolla (l’originario venditore dei lupini che hanno causato l’inizio del tracollo familiare) che, nel frattempo, ha trasformato la cittadina in un regno di terrore. Se pensate però che la trama sia abbastanza sconvolgente così, vi state sbagliando di grosso perché il libro di Andrea è un ottovolante in cui cercare di estrarre una trama ordinata (come pure ho cercato di fare) è inutile e bisogna piuttosto lasciarsi inebriare dai capovolgimenti, dalle digressioni (ancora Tarantino), dagli anacronismi ucronici, dall’accumulo di situazioni che sembrano stridere tra loro, dal richiamo ripetuto ed insistente alle liriche di De André. Ed ecco allora non solo guerriere ninja, ma anche vampiri, golem, soldati della Guerra civile americana, creatori di androidi, precursori dei deliri eugenetici nazisti, e chi più ne ha, più ne metta.

In realtà, se si volesse giudicare il libro di Andrea dal punto di vista della coerenza narrativa, del plot, occorrerebbe rimarcare il kitsch in cui beatamente sguazza e che mina il tessuto, la trama della storia. Ma si tratta invece di un libro a cui occorre approcciarsi come consigliava Robert Sheckley per il suo Opzioni: (cito a memoria) ogni regola è momentaneamente sospesa, state calmi ed evitate di esporvi a rischi; oppure, se vi va, potrei portarvi a fare un giro… Allo stesso modo in Lia non è utile farsi domande o cercare corrispondenze (col Malavoglia verghiano o interne) ma piuttosto lasciarsi andare al caleidoscopico flusso narrativo, restando abbagliati dagli effetti speciali letterari che si susseguono senza posa e stupiti per le figure che riusciamo a riconoscere. Ed occorre dare atto ad Andrea che la lingua che usa, la sua chiave espressiva, è ricca e sapida, sempre rutilante e immaginifica. Un piacere da leggere, anche quando quello che racconta ci lascia un po’ perplessi per (l’apparente?) abissale incongruenza.

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Una replica a “Malavoglia effetto Tarantino”

  1. Avatar Andrea Lanza

    Lia recensito da Mazzetta è opera d’arte

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