Nella Prefazione a Nel dubbio prendo risorse, Francesco Lancia (conduttore radiofonico, scrittore ed appassionato di giochi), percula garbatamente l’autore – Andrea Dado – scrivendo:
Voi capite che una persona che nel 2023 ha ancora un blog, non sta benissimo. Una persona che non solo ha un blog, ma lo aggiorna ancora con frequenza quindicinale deve avere più di qualche problema.
Ovviamente ciò non può fare a meno di farmi riflettere, dato che non solo ho un blog ma ne ho addirittura due: uno è naturalmente il presente su cui state leggendo questa “recensione”, l’altro si chiama uguale ma sta su Blogspot e ci vado a mettere robe tipo filosofia/biblioteche/politica. Tra entrambi forse riesco ad arrivare anch’io ad una media quindicinale e quindi è probabile che neanch’io stia benissimo… Comunque anche il blog di Andrea Dado sta su Blogspot (https://dadocritico.blogspot.com) e si vanta di esserci dal 2013 (e qui vinco io perché ho aperto il mio primo blog su Splinder nel 2006!). Dado avvisa subito in questo modo i lettori del suo blog: “Io non recensisco un bel niente. Io racconto”. E anche il suo libro, Nel dubbio prendo risorse (appena pubblicato da dV games & stories, conosciuto finora solo come editore ludico), è un racconto che sì, parla di giochi e di giocatori, ma racchiudendoli in una storia al tempo stesso esilarante e crudele.
Al centro l’organizzazione di una “games-con” a Genova con tanto di torneo a Puerto Rico valido per le qualificazioni nazionali. Ovviamente al centro della narrazione sta l’associazione che si occupa dell’organizzazione, con tutte le sue varie tipologie caratteriali, ma ad esse si aggiungono figure esterne anche se legate indissolubilmente all’associazionismo ludico (quasi pianeti eccentrici che periodicamente si avvicinano al sole attorno a cui ruotano fino quasi a tuffarvisi dentro per poi ritornare a percorrere orbite fredde e distanti): il giocatore, l’editore, l’illustratrice, lo psicologo. Per quanto tra i lettori ludici non possa non partire un gioco legato all’identificare i vari profili descritti in uno o più dei giocatori che si ritrovano in real life attorno ai tavoli di gioco, il bello del romanzo, pur nella sua essenziale brevità, è di costruire, soprattutto per i personaggi eccentrici, una vera personalità a tutto tondo, in grado di giustificare scelte, forze e debolezze.
L’illustratrice, ad esempio, è una punk ridottasi ad insegnare materie artistiche – consolandosi con una squallida relazione ai limiti del sadomaso con un uomo sposato – che spera di rifarsi una vita con un contratto per realizzare le illustrazioni per un gioco di carte (ovviamente dell’editore coprotagonista).
Il giocatore, di nome Marco e di nick Archimede, è un campione iperpalestrato di Puerto Rico con una filosofia di vita basata sull’essere migliore degli altri sia in palestra sia sui tavoli di gioco. E per questo è tormentato dall’unica a livello nazionale che riesce a batterlo: Valeria Baci&Abbracci, nel suo orizzonte di vita una sciacquetta che mai per nessun motivo si scoperebbe.
Entrambi i personaggi (e pure, ognuno a modo proprio, gli altri due: l’editore e lo psicologo) sono un concentrato di forza e debolezza: l’illustratrice nella candida fede nel potere salvifico della propria arte da una lato e negli squallidi comportamenti a cui costringe l’amante che poi le si ritorceranno contro dall’altra; il giocatore nella forza fisica ottenuta grazie ad un padre dispotico ma che non riesce ad imbrigliare e focalizzare portandolo a mancare proprio gli obiettivi che s’era prefisso. Proprio quest’ultimo dimostra la sua insospettabile debolezza quando, finalmente al tavolo di gioco contro Valeria Baci&Abbracci, pronuncia la frase utilizzata anche per il titolo:
«Due mosse, entrambe buone» dice Archimede. «Ma nel dubbio prendo risorse.»
Piccola digressione per l’eventuale lettore o lettrice che non fosse particolarmente appassionato/a di giochi da tavolo: Puerto Rico è uno dei più famosi giochi della tipologia “german”: si tratta di una tipologia di giochi che tende a ridurre per quanto possibile l’incidenza dell’aleatorietà (normalmente non ci sono dadi) e che si struttura come una sorta di solitario di gruppo in cui i giocatori non vanno a incidere direttamente sulle azioni degli altri ma piuttosto li ostacolano più o meno indirettamente. Il vincitore alla fine non sarà quello che avrà “ucciso” o “distrutto” gli altri ma piuttosto chi avrà totalizzato più punti. In questo senso è vulgata che, di fronte a scelte non particolarmente chiare, un’azione base comunque non penalizzante sia appunto sfruttare il proprio turno per prendere risorse ed accumularle in vista di azioni future maggiormente significative. Ma tale strategia è anche tipica dei “niubbi” come subito rimarca piuttosto velenosamente Valeria Baci&Abbracci a Marco/Archimede:
«È così che giochi?» dice lei. «Nel dubbio?»
«Perché? Tu come giochi quando hai davanti tre o quattro mosse ugualmente buone?»
«Non ci sono mosse ugualmente buone. C’è sempre e solo una mossa giusta e tutte le altre sbagliate. Io trovo la mossa giusta e la eseguo. “Nel dubbio” non esiste.»
Onestamente questo ritratto gustoso ed impietoso del giocatore tipo mi ha fatto riflettere su quanto da anni vado evangelizzando nell’attività di promozione nelle biblioteche del gioco come attività inclusiva. Certo, sembra ricordarmi tra le righe Andrea Dado, il gioco sta all’interno del famoso cerchio magico huizinghiano che lo separa nettamente dalla noiosa vita normale ma – aggiunge con caustica strizzatina d’occhio – se uno o una sono stronzi e figli di puttana nel mondo reale, lo saranno anche all’interno del magico mondo del gioco. E, nel libro, Dado non si limita a raccontarci di giocatori che arriverebbero a tutto pur di vincere (anche a barare) ma addirittura di assassini che inscenano i loro delitti come famose opere ludiche i cui riferimenti sfidano i testimoni ad indovinare nel grand guignol finale. Alla fine quindi l’amaro in bocca con cui si chiude il libro non è per la bravura dell’autore, che dimostra in questa opera prima abilità letterarie decisamente encomiabili, ma per il muro della realtà che viene svelato qui più efficacemente che non dagli scazzi sui gruppi Whatsapp di una qualsiasi associazione. Proprio per questo è un libro che gli appassionati giocatori devono leggere. Coloro invece che ancora non lo sono è comunque utile che lo leggano: intanto si tratta di una lettura piacevole (cosa che ovviamente non guasta) e li può introdurre consapevolmente al mondo del gioco da tavolo che – benché pervaso della stessa percentuale di stronzi e figli di puttana presente nel mondo reale – è comunque uno spazio alternativo piacevole e divertente.
A proposito: per quel che mi riguarda preferisco i giochi con i dadi. Se proprio la partita mi va di merda, almeno posso incolpare la sfortuna…



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