i__id12683_mw600__1xÈ di recente uscito il libro La règle du jeu: i videogiochi tra cultura e design di Daniele Pomilio pubblicato nella collana Eterotopie di Mimesis. Col titolo, Pomilio rimanda direttamente al film omonimo di Jean Renoir (che è possibile vedere in italiano su YouTube) e proprio dal film parto per presentare il libro. Riprendo da Wikipedia citazioni su esso:

André Bazin:

Renoir aveva voluto realizzare secondo la sua stessa espressione un dramma gaio e questa mescolanza insolita disorientò. D’altra parte, la sua regia prodigiosamente mobile, la sottile ironia delle inquadrature e dei movimenti di macchina, lo stile della fotografia che annunciava in maniera generale la celebre profondità di campo che abbiamo ritrovato in America attraverso Quarto potere (1941) e I migliori anni della nostra vita (1946)…

François Truffaut:

La Regola del gioco è il credo dei cinefili, il film dei film, il più odiato alla sua uscita, il più apprezzato in seguito fino a diventare un vero successo commerciale dopo la sua terza ripresa in circuito normale e in versione integrale. All’interno di questo “dramma giocoso”, Renoir agita senza averne l’aria una messe di idee generali, di idee particolari…

Col suo film Renoir mette in scena il mondo della bella società francese al suo apice prima dei disastri della Seconda guerra mondiale e dai mutamenti irreversibili da essa causati. La bella società francese è ancora perennemente occupata a mantenere intatta l’apparenza delle relazioni, come i giochi meccanici adorati dal padrone di casa, senza preoccuparsi della violenza che s’introduce nella casa durante la festa e che pensano sia possibile controllare e guidare. Apparentemente siamo di fronte ad un dramma semiserio di gelosia, in realtà siamo assistendo alla messa in scena dell’irrecuperabilità di un sistema di vita.

lavorare-con-i-videogiochi-579559Pomilio non arriva ad azzardare l’ipotesi che, a modo loro, anche i videogiochi rappresentino questo. Anzi il suo libro è un ottimo complemento di un altro libro: Lavorare con i videogiochi: competenze e figure professionali di Francesco Toniolo (Bibliografica). Il libro di Toniolo è una introduzione a 360 gradi delle competenze professionali necessarie ad entrare nel mondo dei videogiochi. Ne ho parlato con lui in occasione dell’International Games Week dell’anno scorso e l’intervista è disponibile su YouTube sul sito dell’Associazione Italiana Biblioteche (ed alla fine di questo post). Visto Lavorare con i videogiochi come introduzione generale, è possibile utilizzare poi La règle du jeu come testo specifico per approfondire le competenze di chi voglia diventare “game designer”. Senza dimenticare infatti la creazione dei giochi nella loro accezione più ampia, Pomilio focalizza regole ed elementi che vanno a comporre la realizzazione di un videogioco, soprattutto ricavando spunti da due testi in inglese: Rules of Play. Game Design Fundamentals di K. Salen e E. Zimmerman (MIT Press, 2004) e Designing Games: A Guide to Engineering Experiences di T. Sylvester (O’Reilly, 2013).

Si tratta pertanto di un testo eminentemente pratico, che introduce agli elementi essenziali del “game design”. Anche il primo capitolo, dedicato alle “Prospettive umanistiche” che apparentemente poteva sembrare offrire un taglio diverso e maggiormente critico, si inserisce in tale contesto offrendo un’immagine della rete culturale e delle connessioni con gli altri media più o meno tradizionali in cui s’inserisce il gioco ed in particolare il videogioco. Per certi versi anche alcuni aspetti che potrebbero parere lacune o comunque mancati approfondimenti (come, ad esempio la parte sul “flow”) sono alla fine giustificate dal taglio eminentemente pratico.

È però un peccato che uno spunto così promettente come quello utilizzato nel titolo non sia stato sviluppato con maggiore profondità. Mi è venuto da pensare ad esso quando un collega bibliotecario al mio invito a ragionare criticamente sui recenti avvenimenti sociopolitici (e non semplicemente sulla base di schieramenti per uno o per l’altro e neppure, semplicisticamente, per la guerra o per la pace a prescindere) non si sia trattenuto a lanciare la frecciatina sul fatto che il mondo reale sia diverso da quello dei videogiochi. Sottintendendo che nel mondo dei videogiochi si possono commettere carneficine, si può morire migliaia di volte, si possono scatenare innumerevoli guerre senza che la cosa abbia il minimo impatto sul “mondo reale”. L’apparenza è di assoluta verità di questa posizione. La realtà però è un’altra. Sono ormai decenni che i videogiochi sono utilizzati per addestrare i soldati (conoscete America’s Army?) e pare che addirittura gli attentatori dell’11 settembre si siano allenati a pilotare gli aerei sui simulatori di volo videoludici. I videogiochi inoltre, esattamente come tutti gli altri media, possono essere utilizzati per offrire un’interpretazione della realtà: non posso ad esempio fare a meno di rigiocare il livello “Niente russo” di Modern Warfare 2 senza provare i crampi allo stomaco per la cruda rappresentazione che ne viene fatto di un attacco terroristico. Sempre rimanendo in ambito Modern Warfare (ma nel recente reboot) ho dedicato spazio a evidenziare come il gioco mostrasse l’instabilità e i conflitti causati in Asia e Medio Oriente dallo scontro di influenze tra USA e Russia. Per questo penso sia sbagliato considerare “sic et simpliciter” i video/giocatori alla stregua dei convitati del film di Renoir. Non (necessariamente) il video/gioco è uno “strumento di distrazione di massa”, come del resto ho contestato a Braxton Soderman commentando il suo libro Against Flow. Non necessariamente il game designer avrà successo realizzando un video/gioco escapista, anzi: proprio inserendo elementi critici e scottanti dell’essere cittadini attivi e critici è possibile creare un prodotto culturale che possa sopravvivere ad un successo effimero. Passata la moda, di Fortnite se ne ricorderanno in pochi, mentre Journey o Metal Gear Solid resteranno opere da giocare e da utilizzare per capire e leggere il mondo.

2 risposte a “La règle du jeu: strumenti per aspiranti game designer”

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