Ho già a più riprese scritto sulla rinascita del “libro game” come forma di narrazione interattiva, perfetto anello di congiunzione tra la letteratura ed i videogiochi, e sulla fortuna lunga dell’opera di H.P. Lovecraft. Qui, molto più praticamente, vorrei presentare ude recenti libri game che sfruttano proprio le tematiche lovecraftiane in modo apparentemente opposto.

I due libri game sono: I boschi dell’incubo scritto da Daniele Manfredi e illustrato da Enzo Triolo per Tora Edizioni (primo volume della collana Arkham Dreams e pubblicato lo scorso ottobre), e Nel nome di Dagon di Federico Bason per Librogame’s Land (secondo volume della collana Gore Zone, pubblicato nel 2020 e in segonda edizione nello scorso agosto: il libro è scaricabile previa registrazione dal sito di Librogamesland o ordinabile in cartaceo sul sito Lulu).

Le differenze tra i due libri game sono sia di ambientazioni sia di meccaniche utilizzate.

Akham-Dreams-I-Boschi-dellIncubo-FronteI boschi dell’incubo resta sostanzialmente fedele all’ambientazione storico-geografica delle storie lovecraftiane ed i sui autori ambientano l’avventura nei boschi del New England tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Arthur Whipple, erudito ma scapestrato discendente di un prestigioso ufficiale della Guerra di Secessione, cerca un amico, Albert Wisner, prestigioso professore alla Miskatonic University di Arkham, recatosi negli sperduti boschi delle Blueridge Mountains per studiare le antiche tradizioni e leggende dei nativi americani. Giunto nel poco ospitale villaggio di Highfield, Albert si trova a dover confrontare non solo coi burberi abitanti e con le misteriose creature che hanno ispirato la mitologia indigena, ma anche col passato del proprio avo che contribui a debellare, decenni prima, un empio culto di ancor più empie creature, sterminando l’intero villaggio nell’illusione di poterlo definitivamente cancellare. Le meccaniche riprendono, in modo semplificato, quelle del gioco di ruolo Il richiamo di Cthulhu (scelta dell’abilità e dei punteggi da assegnare alle varie capacità di base, tra cui Razionalità, Sangue Freddo ed Equilibrio Mentale), e dovremo combattere spesso contro vari personaggi più o meno soprannaturali confrontandoci con loro mediante una griglia di rune ed il lancio di dati che serve anche per superare le prove di abilità che l’avventura ci pone davanti. Tra vicoli ciechi e tiri sfortunati, capita sovente che il lettore si trovi morto e da ricominciare l’avventura o da punti di rientro prestabiliti o dall’inizio. E buona parte del divertimento nel libro game è scegliere il mix più opportuno per riuscire ad arrivare indenni ad un finale anche mettendo in conto qualche rovescio di fortuna nel lancio dei dadi.

nel nome di dagonNel nome di Dagon presenta invece come protagonista un personaggio contemporaneo, una sorta di Jason Voorhees, che viene mandato dagli spiriti del bene in missione ad Enboca (trasparente traduzione di Innsmouth) per sconfiggere ed uccidere il demone che là dimora: il Mosk. Andrew (ovvero noi) è virtualmente immortale e infatti non ha un valore di “salute” (anche una volta accoltellato, sparato, smembrato, si ricompone e rialza) ma piuttosto quello dell’Energia Spirituale che gli può consentire di far fronte alle perversioni degli abitanti e delle divinità di Enboca, tra cui quella più potente è Dagon: un Cristo crocifisso dalla testa di pesce. All’autore di Nel nome di Dagon interessa più raccontare la storia (o meglio, come vedremo più avanti, propagandare il proprio messaggio) piuttosto che proporre sfide ludiche ai suoi lettori. Così le cinque vite, le ampolle che ripristinano l’Energia Spirituale disseminate sul percorso e le occasioni che il giocatore ha di elevare il limite massimo della stessa non pongono una sfida esagerata al lettore. Bason è molto più interessato a proporre al lettore una sua interpretazione aggiornata all’oggi dell’ideologia proto-suprematista lovecraftiana. Non a caso, nei panni di Andrew, incontriamo ad Enboca gli alter-ego di quelli che evidentemente Bason considera le maggiori iatture dell’Italia contemporanea: gli esponenti (o meglio quelli che lui, evidentemente partendo molto da destra, ritiene gli esponenti) della sinistra responsabili della degenerazione del paese. Non un caso che Enboca sia una caotica Las Vegas dominata dal gioco d’azzardo e dalle star dei network televisivi. Ecco quindi Renzi perennemente preoccupato d’ingropparsi Lady Bi, Jovanotti, Barbara D’Urso, ma anche il sindacalista Aboubakar Soumahoro rappresentato come scafista preoccupato unicamente di guadagnare dagli sbarchi. Oddio: la satira è sicuramente possibile, ma che satira è se va a riguardare solo gli avversari? Non si capisce infatti perché in questo scenario non abbiano parte esponenti del centro-destra che pure sarebbero perfetti per essere rappresentati in esso, come ad esempio il Berlusconi proprietario di reti televisive ed organizzatore di bunga bunga, o il Salvini che si è giocato un governo al Papeete. Quello che maggiormente interessa a Bason è, in un’opera solo apparentemente ludica, far passare la sua critica all’idea di “ponti”. Come si può leggere anche nel blog dell’autore – https://cristoria.it – il concetto di “ponti” serve a chi aderisce alla visione “neo-cristiana” per promuovere la fede come novità da promuovere con strategie di marketing. Bason scrive sul suo sito:

La visione neo-cristiana celebra una novità (LA novità) al pari di un prodotto commerciale, mostra LA novità come migliore e ha bisogno di strillarlo come in una rèclame.

E’ la fede stessa a trasformarsi in novità, nasce la religione dei ponti: non serve essere cattolici ma accoglienti, l’osmosi con l’Islam è fondamentale, Dio regna sui barconi.

Attorno alla visione neo-cristiana prolifera una fauna bizzarra: ONG, atei devoti, preti ispirati da “Bella ciao”.

Nel libro game il risultato della costruzione di ponti è l’accettazione dei culti demoniaci (nemmeno troppo sottilmente) ispirati all’Islam impersonificati da Hassan Rohani che nella chiesa più grande di Enboca fa praticare le infibulazioni a bambine e ragazze per potersi nutrire della carne a loro asportata. Ovviamente di fronte a tale barbarie Andrew è giustificato nella sua mattanza senza pietà, così come alla fine è pienamente giustificata la distruzione completa dell’empia città.

E anche il libro game sarebbe tutto sommato divertente se riuscissimmo a sopportare l’ideologia (che probabilmente Lovecraft non ricuserebbe) che ne trasuda. E questo in conclusione ci deve far riflettere proprio sulla fortuna lovecraftiana. In particolare oggi il suo timore dell’altro visto non solo come diverso, ma come portare di mutazione, malattia e corruzione s’inserisce perfettamente nella vulgata suprematista, come dimostra Bason. Ma che differenza c’è tra il professor Albert Wisner che si trasforma in un ibrido umano-alieno per compiacere le creature e far sì che gli concedano sapienza e potere ed il Mosk, jinn che offre ad Andrew beni paragonabili a quelli che Satana offrì a Gesù per adorarlo? Rifiutare uno per apprezzare l’altro è ipocrita. Occorre invece riuscire ad individuare in entrambi quanto c’è di “muro” che risuona nei nostri stessi animi per poterlo estirpare.

2 risposte a “Due libri game a tema lovecraftiano”

  1. Avatar Libri letti nel 2021 – ossessionicontaminazioni

    […] Daniele Manfredi e Enzo Triolo I boschi dell’incubo (Tora, 2021)[ne ho scritto qui: Due libri game a tema lovecraftiano] […]

  2. Avatar LA REALTÀ, IL TEMPO E PROVIDENCE – ossessionicontaminazioni

    […] Due libri game a tema lovecraftiano […]

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

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