cinema e videogameNella collana Game Culture di Unicopli, alla cui direzione ho contribuito assieme ad Emilio Cozzi e ad Andrea Dresseno, è uscito nel 2019 il volume Cinema e videogame. Narrazioni, estetiche, ibridazioni, adattamento della tesi di laurea di Nicolas Bilchi che è stata tra le vincitrici dell’edizione 2016 del Premio Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna. Pur avendone letti ampi stralci durante la selezione per la pubblicazione, solo ora l’ho letto tutto con attenzione. Si tratta di un testo interessante e scorrevole (nonostante l’origine) che forse lascia troppo spazio alla storia del videogioco, sopratutto in considerazione che alcune analisi e riflessioni su videogiochi ispirati a film e film ispirati a videogiochi avrebbero giovato di maggiore approfondimento. Tuttavia proprio la riflessione esplicita nel capitolo finale e nella conclusione sui film ispirati ai videogiochi mi ha portato a confrontarmici, anche in vista di una pubblicazione sull’argomento su cui – con troppa poca continuità – sto lavorando.

Nei libri sul rapporto tra cinema e videogiochi, come quello di Bilchi ma anche negli altri, praticamente senza eccezione, si valutano i film tratti dai videogiochi in funzione del videogioco (o della serie videoludica) a cui sono ispirati. La cosa fondamentale da osservare è che questa però non è la normalità, ma una vistosa eccezione. Se noi cambiamo ispirazione mediale per le opere cinematografiche scopriamo che un approccio del genere è raro se non del tutto assente. Ad esempio, pur avendo letto svariati testi di critica cinematografica sull’opera di Hitchcock, in nessuna mi sono mai imbattuto in un’analisi di come e se i suoi film siano fedeli ai romanzi ed ai racconti a cui si ispiravano. Uno dei più unici che rari casi in cui si è utilizzata la comparazione tra libro e film è stato relativamente a Shining di Stanley Kubrick, anche perché però nei suoi confronti si è espresso negativamente l’autore stesso del libro: Stephen King. Quando guardiamo un film tratto da un libro, la nostra prima preoccupazione non è di confrontarlo col libro da cui è tratto, quanto se il film che stiamo guardando è bello e significativo in quanto film, non in quanto opera derivata. Con la consapevolezza che – anche nel caso del rapporto tra libro e film o commedia e film dove entrambi i media della coppia sono di tipo lineare e non ergodico – le due opere saranno comunque a se stanti e se non lo fossero l’opera derivata sarebbe quasi sicuramente d’infimo valore.

È anche vero che mediamente ci vengono in mente esempi più o meno autoriali, mentre i film ispirati ai videogiochi hanno più il carattere dello sfruttamento commerciale, ma è anche vero che autori “commerciali” e/o di serie “B” sono stati in seguito rivalutati per cui più che giudicare “la fedeltà all’originale”, esattamente come per gli altri film, occorre valutare se il film sia più o meno riuscito, più o meno bello e piacevole.

Bilchi, nel suo libro, fa alcuni esempi di non riusciti adattamenti e vorrei discutere tali giudizi alla luce di quanto appena espresso. Due non riusciti adattamenti sono per Bilchi: Mortal Kombat di Paul W.S. Anderson (1995) e Doom di Andrzej Bartkowiak (2005) (per inciso: un riuscito adattamento, per Bilchi, è invece Resident Evil, sempre di Anderson). A Mortal Kombat viene addebitato di non mostrare l’iper-violenza per cui è famoso il videogioco (“fatality” et similia) per mantenere il rating a portata di adolescenti ma soprattutto di preferire, per la messa in scena degli scontri, un montaggio che si rifà più ai film di kung fu che non a quelli del videogioco (utilizzo del rallentatore, ad esempio, piuttosto che parossistica velocità delle combo). A Doom al contrario viene rimproverato l’utilizzo – verso il finale – delle artificiose sequenze in prima persona. Dal punto di vista sopra esplicitato, proprio perché dobbiamo dare ragione a Bilchi relativamente a Doom (la presenza della soggettiva senza una vera motivazione o un’adeguata strutturazione nella dinamica del film ma esclusivamente come omaggio alla prospettiva del videogioco risulta fuori luogo e spezza la tensione narrativa), dobbiamo essere in disaccordo su Mortal Kombat. Per quanto non stiamo parlando di un capolavoro, il film funziona proprio rimediando il videogioco con il montaggio tipico delle sequenze di combattimenti dei film di kung fu. Se al contrario Anderson avesse prioritariamente utilizzato inquadrature laterali probabilmente il tutto si sarebbe rivelato un fallimento – anche inserendo qualche fatality – perché si tratta di una grammatica visiva peculiare ed accettata nei videogiochi, ma assolutamente estranea a quella cinematografica. Di fatto Anderson ha preso dal videogioco l’idea del torneo e dei vari personaggi, ognuno col suo peculiare stile, e li ha gettati nell’arena per la salvezza (o la conquista) della Terra. In questo senso il film funziona perché richiama efficacemente l’ambientazione videoludica giocando in maniera abbastanza fedele con le caratteristiche dei vari personaggi, ma utilizzando un linguaggio filmico rodato che gli permette di cucire una storia cinematograficamente plausibile. Per Doom questa cosa non vale per tanti motivi: forse il primo e più importante è che fondamentalmente, in tutti i suoi episodi, Doom è un videogioco “solitario”. Questo elemento forse è ancor più significativo della visuale in soggettiva perché sottolinea la dimensione della battaglia del “doomguy” da solo contro tutti i demoni dell’inferno. Al contrario nel film c’è una squadra che ricorda un po’ quella di Aliens e la conclusione avviene come redde rationem tra i due personaggi umani, con nessuna parte dei mostri della dimensione infernale. Da questo punto di vista è più “fedele” Aliens a Doom (videogioco) che non Doom (film). Ma se Doom (film) fosse stato un film maledettamente piacevole e pauroso, avremmo sicuramente potuto perdonare tale tradimento. Al contrario il problema è che si limita a scimmiottare aspetti esteriori del videogioco (la visuale in soggettiva) ma non riesce a carpirne il nucleo essenziale che ha appassionato tanti giocatori. Per fallire miseramente come film, prima che come film videoludico.

Post scriptum: scopro ora che Doom non è stato l’unico adattamento cinematografico ma che esiste anche un successivo Doom: Annihilation del 2019, uscito direttamente in home video, che dovrebbe essere maggiormente fedele al videogioco ma più terribile come film. Ho appena fatto l’ordine del Bluray: appuntamento su questo stesso blog a breve per un aggiornamento.

2 risposte a “Il videoludico dei film (videoludici)”

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