RECENSIONE DI
(Guanda) pp. 169
pubblicata sul MUCCHIO SELVAGGIO Luglio 2006
Il libro di Morozzi non è un reportage all’americana dove l’autore si documenta sull’oggetto del libro mediante ricerche ed interviste. Il massimo delle ricerche compiute è stato probabilmente il compulsare le biografie di Nomadi, Guccini, CCCP/CSI, Ligabue, Skiantos, Vasco Rossi, con qualche accenno a gruppi beat, Modena City Ramblers, ecc. In questo senso L’Emilia, o la dura legge della musica non ha alcun particolare valore documentario o storico sull’evoluzione della musica emiliana, né sulla definizione di eventuali peculiarità etno-geografiche. Ne è ben conscio lo stesso Morozzi che a pié sospinto si difende dall’accusa che si fa rivolgere da vari personaggi del libro di non approfondire adeguatamente l’aspetto sociologico o di non fare una tassonomia completa dei musicisti emiliani (perché la proliferazione di musicisti non va più ad ovest di Reggio? Perché non dir nulla di Dalla o degli Ustmamò, ad esempio?).
Evidentemente a Morozzi, che è un narratore, la cosa che viene meglio è narrare piuttosto che l’analisi musicale – sommaria e superficiale: a cosa può servire paragonare i testi di Guccini con quelli dei MCR? – e quando racconta i propri trascorsi da chitarrista o le proprie missioni per ascoltare un concerto o l’altro riesce a condividere le proprie esperienze musicali, che sono poi in gran parte anche le nostre, come un amico che ci racconta avventure e disavventure, riuscendo sempre a piazzarci dentro qualche accenno alle conquiste sentimentali. Ma un amico bravo a raccontare, che anche se parla di cose risapute o comunque del tutto ordinarie, riesce a farsi ascoltare dall’inizio alla fine.
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