
Irontown Blues di John Varley è il romanzo uscito sul numero di giugno (n. 1739) della collana Urania di Mondadori ed è l’ultimo suo romanzo, originariamente pubblicato nel 2018. L’incipit ci immerge subito, in maniera spudoratamente esplicita, nelle atmosfere di un romanzo o di un film “noir”:
La donna entrò nel mio ufficio come il soffio tiepido di una brezza del Pacifico. In altre circostanze, l’avrei volentieri invitata a ballare lo swing tutta la notte al Santa Monica Pier sulle note del clarinetto di Artie Shaw e dei Gramercy Five.
Segue la descrizione della donna:
Il suo viso era una sagoma vaga dietro a un pesante velo che pendeva da un cappello su cui sembrava appoggiato un pavone. Non solo le penne, tutto il pavone. La camicetta sfoggiava una serie di volant intorno al collo, e la giacca aveva spalline così enormi da poterci posare sopra due bicchieri da Martini. Le scarpe avevano tacchi quadrati da dieci centimetri e punte aperte, che mostravano due unghie pitturate di carminio. Ero pronto a scommettere che i suoi collant avevano la cucitura sul retro. (p. 7)
In realtà non siamo nella Los Angeles tra gli anni ‘30 e ‘40 del XX secolo ma ci troviamo sulla Luna, diversi secoli nel futuro, dopo che un’umanità scacciata dalla Terra da invasori alieni, vive sugli Otto Mondi (e Irontown Blues, pur essendo autoconclusivo, fa parte di questa serie che comprende anche Linea calda Ophiucus, La spiaggia d’acciaio e il non ancora tradotto The Golden Globe), tra cui c’è appunto la Luna dove in secoli sono stati scavati canyon e costruite città protette dal vuoto esterno. I protagonisti del romanzo sono Christopher Bach e Sherlock il suo segugio ciberneticamente modificato. Come in qualsiasi noir classico la storia inizia quando vengono ingaggiati dalla classica “dark lady” per scoprire chi l’abbia contagiata con una misteriosa e tenace forma di lebbra (in un futuro in cui le malattie comuni sono state praticamente debellate) durante una notte di sesso occasionale.
Ben presto Chris scopre che per la sua indagine dovrà tornare ad Irontown, un’enclave anarchica rifugio dei dropout della società lunare, al cui interno sorge un’enclave ancor più alternativa: quella degli Heinleiniani. Come si vede anche da qui, Varley in questo romanzo non si risparmia le citazioni palesi: e in effetti gli Heinleiniani rifiutano il benevolo controllo cibernetico a cui è sottoposta la popolazione lunare per sviluppare una sorta di società contemporaneamente anarchica e militarizzata (un mix insomma di Fanteria dello spazio e Straniero in terra straniera, naturalmente senza dimenticare quello stupendo manuale per rivoluzionari sotto forma di romanzo che è La Luna è una severa maestra) dove i cittadini non sono controllati ma girano armati e risolvono i crimini con la pena di morte. Ma Chris esita ad inoltrarsi in Irontown non solo per i pericoli presenti in un quartiere senza legge, ma soprattutto per i ricordi che ancora lo tormentano legati al Grande Guasto. Infatti, prima di atteggiarsi ad investigatore privato (ammettendo per primo essere questo un hobby e un vezzo, perché i rimborsi per i danni causati nel Grande Guasto gli permetterebbero di vivere agiatamente senza lavorare), Chris era un poliziotto che negli eventi che hanno portato al Grande Guasto stesso ha avuto un ruolo centrale salvandosi solo per miracolo e soffrendo successivamente di danni psicologici e depressione. Il Grande Guasto è stato la conseguenza di una spedizione della polizia organizzata e coordinata dal Computer Centrale per riportare ordine all’interno di Irontown (e per “schedare” gli Heinleiniani) degenerata in guerra civile e perdita di parte della copertura di protezione al vuoto esterno con la conseguente morte di migliaia di persone. E, alla fine, il romanzo che aveva presso le mosse fin troppo esplicitamente dal noir, è qui che ritorna prepotentemente alla fantascienza, dato che l’indagine si rivela solo un pretesto per evidenziare i problemi della società lunare che dal Grande Guasto si estendono al presente della storia.
A narrarla, oltre a Chris, c’è pure Sherlock e la sua traduttrice, Penelope Fiordaliso, che si intromette edulcorando le espressioni del segugio che ritiene eccessivamente colorite, come nella descrizione della dark lady che li ingaggia per l’indagine:
Capii anche che la signorina “Smith” era stata in calore due o tre giorni prima. Le femmine umane vanno in calore un sacco di volte. Aveva anche fatto la cacca non molto prima di venire nel nostro ufficio. Non aveva peli sulle ascelle o sul pube. Non so perché gli umani si tolgano il pelo. Il pelo è una cosa buona.
(Sherlock non ha usato il termine “pube”, ma ho pensato fosse meglio riformulare la sua descrizione parecchio più volgare. PF) (p. 41)
A livello di scrittura questa staffetta tra le tre voci rende maggiormente dinamica e divertente la lettura di una storia per il cui intreccio forse sarebbe stato sufficiente una racconto più o meno lungo. La storia infatti tradisce le premesse noir (con mio grande dispiacere: se volete leggere un grandioso noir fantascientifico andate piuttosto a recuperarvi Noir – nomen omen – di K.W. Jeter) troppo avanti per poter costruire una trama fantascientifica adeguata. Ma il divertente gioco delle voci fa comunque perdonare la mancanza e induce a leggere tutto d’un fiato questo “divertissement” senza troppo preoccuparci della coerenza di un autore altrimenti paragonato ad Asimov e a Heinlein.

Link nel post:
- Sito ufficiale di John Varley: https://varley.net

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