Sabato scorso (17 maggio) sono tornato al Salone del libro di Torino dopo anni d’assenza, dovuta al contemporaneo svolgimento del PLAY modenese, fino appunto a quest’anno in cui lo spostamento geografico del secondo a Bologna ha coinciso anche con la sua dislocazione temporale ad aprile. In particolare m’interessava seguire l’incontro LEGGERE TUTTE, LEGGERE TUTTI. Accessibilità e inclusione nei libri per l’infanzia con Francesca Archinto, Sante Bandirali, Elena Corniglia e Enza Crivelli, con la moderazione di Ilaria Tagliaferri di LiBeR. Francesca Archinto è la direttrice editoriale di Babalibri, Sante Bandirali ed Enza Crivelli della casa editrice uovonero e, assieme alla Archinto hanno creato negli anni scorsi la casa editrice Officina Babùk che pubblica i libri Babalibri coi simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa. Elena Corniglia coordina il torinese Centro di Documentazione e Ricerca sul Libro Accessibile “Vietato Non Sfogliare” e cura un database specializzato di recensioni, le formazioni per adulti e i laboratori per bambini. L’occasione per presentare i libri della casa editrice Officina Babùk è purtroppo (a mio parere) stato rovinato dall’ansia di Archinto e Corniglia di erigere muri per tenere fuori i libri “brutti”. I libri brutti non sono (tanto) quelli realizzati da altre case editrici ma (quanto) quelli realizzati dai progetti bibliotecari per mettere a disposizione un numero maggiore di testi in CAA per i loro utenti.

Umanamente posso anche capire Corniglia che lavora all’interno di quella che possiamo considerare una biblioteca speciale dove si trova tutto (e solo) ciò che riguarda l’accessibilità e l’inclusività ed è portata ad avere standard elevati per le opere che le passano di fronte (ne avevo scritto a proposito del suo libro). Capisco meno invece chi continua a darle spazio e visibilità senza rendersi conto della necessità della presenza di voci diverse maggiormente consapevoli dello scenario non specializzato di editoria, librerie, biblioteche, scuole che le facciano da contrappeso. Ma ancor meno capisco Francesca Archinto, di cui pure conosco e rispetto le competenze editoriali. Devo purtroppo sottolineare come la sua visione dei progetti di realizzazione della traduzione in simboli dei libri fatti dalle biblioteche sia ancora ferma ad una situazione che risale ad oltre dieci anni fa. Racconta infatti Archinto durante l’incontro che i libri in simboli realizzati dai progetti bibliotecari riducono l’immagine del libro su una sola pagina per mettere sull’altra il testo in simboli. In effetti si tratta di una modalità di ricostruzione dei libri utilizzata dai primi progetti realizzati dalle biblioteche, ma che già nel 2017 – anno in cui ho contribuito a realizzare il primo progetto in provincia di Piacenza – era stata abbondantemente superata e la traduzione di un libro prevedeva il rispetto più fedele possibile tra testo e immagini all’originale. Per permettere a chi legge di rendersene conto riporto alcune pagine dalle versioni in simboli di La pecora che sapeva contare le uova (Valentina Edizioni) e di Piccola orsa (Orecchio acerbo) realizzate all’interno di quel progetto ed ora disponibili all’interno della Rete biblioteche inbook.

Il risultato grafico è quindi curato nei minimi dettagli anche all’interno dei progetti bibliotecari, seppur questi utilizzino per la realizzazione mezzi artigianali. Curato a tal punto che, per esempio, ho in stand-by, dall’ultimo progetto seguito, due libri in simboli per cui i mezzi artigianali utilizzati non riescono a consentire (ancora) la resa precisa della tonalità dei colori presenti sui libri originali. Chiaramente il trattamento che è possibile fare da parte delle biblioteche a questi testi si ferma ad una stampa interna all’istituzione o a una stampa tipografica che comunque volontariamente non si allinea al libro originale perché deve essere chiaro in lettori e lettrici non trattarsi di un prodotto editoriale. Questo vuol dire che si tratta di libri “brutti”? Sicuramente non sono – ripeto: volutamente – libri belli, anzi bellissimi, come quelli realizzati da Officina Babùk, ma il “bello” non è una condizione “binaria”: non c’è o bello o brutto ma ci sono (senza contare l’aspetto soggettivo) gradazioni che vanno dal bellissimo dei libri di Officina Babùk al bello, al bellino, al quasi bello, al così così, al bruttino, al brutto, al bruttissimo, e gli inbook prodotti dalle biblioteche mediamente direi si meritino almeno la sufficienza.

La posizione “assolutistica” di Archinto (e di Corniglia) quindi mi deprime perché priva di fondamento ma soprattutto di visione strategica. Intanto perché i libri in simboli hanno iniziato a realizzarsi anche a seguito delle prime, ancora acerbe, sperimentazioni delle biblioteche. Poi perché immaginiamo che le biblioteche smettano di fare libri in simboli “brutti” e che anzi tolgano anche dagli scaffali quelli già fatti. Prendiamo invece i bellissimi libri realizzati da Officina Babùk e mettiamoli negli scaffali di una qualsiasi biblioteca per ragazzi. Cosa succede? Che i sedici (16) libri realizzati da Officina Babùk scompaiono come il proverbiale ago nel pagliaio nelle decine di migliaia di libri che ci sono nella Biblioteca Giana Anguissola di Piacenza, ma che c’erano pure nella Biblioteca di Fiorenzuola. Ecco allora che questi libri programmaticamente “per tutti” diventano improvvisamente “per nessuno” salvo che un lettore o una lettrice fortunati ci capitino davanti per “serendipità” (altro modo, almeno in questo caso, per definire la “botta di culo”) o che se lo siano trovato o fatto trovare dalla bibliotecaria sul catalogo perché proprio un libro in simboli cercavano (a proposito, un gruppo di lavoro di bibliotecari/e dell’Emilia-Romagna ha realizzato una nota formalizzata per la ricerca efficace dei libri in simboli all’interno dei cataloghi bibliotecari, nota trasmessa da tempo anche al Gruppo di studio sull’inclusione di AIB senza tuttavia che sul tema questo si sia espresso o si sia messo in contatto). E non cambia molto neppure se ai libri in simboli di Officina Babùk uniamo quelli di altri editori, come ad esempio Erickson, Homeless Book, la meridiana, ecc. Restano comunque circa 300-400 libri in tutto: assolutamente insufficienti a garantire un minimo di bibliodiversità e di supporto alle richieste degli utenti, sia famigliari, sia educatori e insegnanti di sostegno, sia logopedisti e neuropsichiatri infantili. Certo, non è che coi progetti bibliotecari le cose vadano radicalmente meglio. Più modestamente è possibile dire che almeno vanno un pochino meglio.

Quello che allora propongo a Francesca Archinto è di non erigere muri (libri belli vs. libri brutti) ma di costruire ponti: ponti tra un’editoria che ha bisogno di farsi conoscere e allargarsi (e le biblioteche sono da sempre state un motore importante della promozione) e utenti. Un’offerta maggiore e maggiormente variegata (ad oggi ad esempio la quasi totalità dei libri in simboli è destinata alla fascia 0-3 e 3-5) può servire ad allargare la domanda e quindi il mercato. Le case editrici, Babalibri compresa, dovrebbero allora non “remare contro” direttamente (come con le critiche a SalTo) o indirettamente (non concedendo le liberatorie per la realizzazione delle traduzioni in simboli da parte delle biblioteche) ma piuttosto lavorare a fianco delle biblioteche per promuovere i libri in simboli, supportando la formazione per i traduttori realizzata all’interno dei relativi progetti, vedendole come alleate, come risorse, come partner. Valutando se le traduzioni artigianali possano riuscire ad ottenere lo spazio editoriale passando attraverso la cura di un’editrice brava come lei.

Archinto, Crivelli, Tagliaferri, Bandirali e Corniglia a SalTo25

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Una replica a “Elogio dei libri brutti e del costruire ponti”

  1. Avatar abianchi

    Grazie Francesco della tua condivisione di quanto hai ascoltato nell’incontro con Elena Corniglia, Sante Bandirali e Francesca Archinto e delle tue riflessioni.

    Io credo che gli inbook, sia i cento editi dalle case editrici, sia i circa cinquecento curati da progetti bibliotecari, meritino molto più della sufficienza.Ma siccome ho da moltissimo tempo abbandonato il fascino della competizione, da quando ho smesso di fare gare in bicicletta, le votazioni con le stelline le lascio a tripadvisor e chi si appassiona a queste pratiche.

    Chi erige muri non ha mai la mia stima e non capisco mai lo spazio che gli viene dato, quando gli viene dato, ma si capisce in una logica in cui l’autorevolezza non emerge da un naturale riconoscimento comune, ma da protezione di spazi esclusivi, brevetti, copyright e circoli culturali elitari.

    E si capisce anche in questo tempo in cui l’eccezionalità europea, cantata da cantautori un tempo stimati, che mettono sul tavolo le figurine dei nostri eroi, “e gli altri ce le hanno queste figurine così fighe?”, questa eccezionalità europea viene difesa dai respingimenti, dalle politiche dei neofascismi tornati al potere, ma anche da terze e quarte vie di partiti un tempo di sinistra che ne assumono il lessico e le logiche, illudendosi di poter arginare le emorragie di voti.

    Per quanto mi riguarda continuerò, come ho sempre fatto, a parlare bene dei libri di Uovonero, siano essi Pesci Parlanti, libri di Camilla o adesso Officina Babuk. O quelli di Fondazione Paideia, per quanto l’iniziativa editoriale si sia un po’ fermata in questo periodo.

    Ne continuerò a parlare bene perché credo che ciascuna di queste iniziative editoriali abbia il merito di portare all’attenzione il valore della accessibilità alla cultura, per tutti potenzialmente, anche se sappiamo che quel tutti non si riesce mai a raggiungere.

    E anzi proprio in questi giorni ho visto i libri didattici di Punti di vista, nove volumi per gli ultimi tre anni della scuola primaria, per storia, geografia e scienze. Un impianto iconografico molto interessante che cattura l’attenzione del lettore, al di là di scelte simboliche diverse da quelle che stiamo facendo con gli inbook. E quindi aggiungerò alla lista degli “altri modelli”, diversi dagli inbook, ma comunque importanti, interessanti e concorrenti a creare una cultura di accessibilità alla cultura, aggiungerò alla slide anche Punti di vista.

    Sono molto d’accordo con te con il tuo invito pubblico ad alzare lo sguardo, guadagnando in prospettiva. Abitiamo una nicchia che ha bisogno di ogni contributo, e non di piccole guerre sanguinose che spengono entusiasmi e passione.

    Forse io avrei considerato destinatari dell’invito non solo ristretti a chi ti sei rivolto tu e avrei usato toni diversi, ma tu hai il tuo stile e lo rispetto molto. È uno stile che ha molta fiducia nella possibilità di confrontarsi, anche dentro un registro conflittuale, – intendendo qui conflitto come parola buona, come confronto aperto, sincero, fra diversi – ma che resta sempre sul tema, e rispetta le persone.

    E sono molto d’accordo con te sul cercare di costruire occasioni di confronto, come quella preparata alla vigilia della pandemia, che poi come altre costruzioni in quel tempo è rimasta incompiuta. È in questo che si manifesta pienamente il tuo rispetto per le persone, la promozione di occasioni di confronto. la convinzione che non si possa farne a meno. Per quanto diverse possano essere le posizioni. Come anche questo spazio in cui adesso sto scrivendo io, rispondendoti.

    Grazie Francesco, Antonio

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson