Per iniziare a parlare del libro Videogioco: femminile, plurale di Fabrizia Malgeri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola e Lorena Rao (Ledizioni, 2024) consiglio di visionare i tre divertenti video riportati sopra, creati da Viva La Dirt League, un gruppo di nerd neozelandesi che giocano e fanno sketch comici sui giochi (secondo la loro stessa descrizione).

Tutti e tre mostrano in maniera efficace (seppur scherzosa) il sessismo e l’emarginazione delle donne a qualsiasi livello del medium videoludico. Nel primo vediamo la differenziazione delle armature: la stessa armatura – una piastra pettorale – per l’avatar maschile è la classica piastra di difesa di un’armatura antica mentre per quello femminile si trasforma in un succinto reggiseno. Ed a poco vale la spiegazione del mercante che entrambi hanno gli stessi punti armatura (e quindi forniscono la stessa difesa agli attacchi), dato che – nel secondo video – è l’armatura stessa ad attrarre le attenzioni degli altri giocatori maschi.

Apparentemente diverso il terzo dove la giocatrice si avvantaggia del suo essere ragazza esattamente per attrarre le attenzioni maschili e farsi regalare quello che altrimenti dovrebbe sudarsi completando le missioni. In realtà anche questo video legge in maniera scherzosa il pregiudizio che le donne non siano abili quanto i maschi nei videogiochi e per arrivare a risultati analoghi sfruttino invece il proprio “capitale erotico”.

Tutto questo è spiegato perfettamente e in dettaglio nel libro di Malgeri, Pilla, Pirola e Rao, prendendo in esame tutti gli aspetti del medium videoludico: personaggi e protagonisti, videogiocatori, realizzatori, streamer passando per la narrazione esaustiva del Gamergate che è il nodo centrale che fa esplodere la bolla maschilista e sessista all’interno dell’universo “nerd”. Una lettura consigliata a tutti, soprattutto se appassionati di videogiochi (o legati professionalmente ad essi) e maschi. Certo, anche alle femmine, ma è probabile che le femmine videogiocatrici abbiano già provato sulla loro pelle situazioni più o meno spiacevoli legate al sessismo in questa sottocultura ormai fattasi dominante e a loro semmai potranno mancare i dati sull’evoluzione storica e le statistiche relative a donne giocatrici, programmatrici e streamer. Molto più rilevante la lettura per i maschi. Come il sottoscritto, sostanzialmente coetaneo del videogioco, maschio, bianco ed eterosessuale e pertanto mai toccato direttamente o indirettamente da episodi di emarginazione. Anzi, nelle mie non abituali frequentazioni dei giochi online ho adottato spesso la strategia della ragazza del terzo video: aggirarmi con un avatar femminile (non c’erano ancora o comunque non erano così diffuse all’epoca le chat vocali) e far finta di essere anche nella realtà una ragazzina inesperta per evitare di essere attaccato ed anzi essere aiutato (con qualche giocatori che chiedeva incredulo nella chat testuale se fossi davvero una femmina). Ma anche per i maschi giovani che devono essere consapevoli di prevaricazioni che possono essere fatte in un ambito che invece si pensa e dovrebbe essere inclusivo.

Mi siano permesse, al libro, solo un paio di integrazioni.

Per la prima riprendo un passo dal capitolo curato da Tiziana Pirola:

Un episodio emblematico della centralità di questo elemento [la sofferenza, lo sforzo, la capacità di rialzarsi dopo un fallimento] nella cultura videoludica è la campagna di ostilità online nei confronti della sviluppatrice Jennifer Hepler per aver dichiarato in un’intervista il suo desiderio per la possibilità di saltare i combattimenti per vivere il gioco come un’esperienza narrativa più che come un’esperienza legata al gameplay. L’idea del videogioco come medium narrativo prima che, o anziché, come esperienza di competizione – sia contro gli ostacoli creati dal gioco stesso che contro altri giocatori – è stata vissuta da una parte della comunità dei giocatori come attacco. Per questo si è avuta una reazione molto violenta, a fronte di uno scenario puramente ipotetico, contro Hepler, accusata di voler rovinare la cultura videoludica sottraendole un tratto importante della sua identità. [p. 135]

Non l’avevo mai osservato da questo punto di vista ma la corrente dei “ludologi” che possiamo far risalire a Jesper Juul e al suo Half-Real. Video Games between Real Rules and Fictional Worlds (MIT Press, 2005) serve per giustificare – da un punto di vista “teorico” – la comunità dei giocatori che ha messo sotto attacco Jennifer Hepler per l’espressione del suo desiderio. Questa corrente sostiene infatti che i giochi sono definiti esclusivamente dal gameplay e che le narrazioni, anche quando ci sono, sono inessenziali e ininfluenti. Ho scritto più volte sull’argomento e non starò qui a ribadire quanto la narrazione nei videogiochi possa (attenzione: possa, non debba) essere un elemento altrettanto essenziale della fruizione videoludica. Quello che invece non avevo mai sottolineato è come, collegata alla fruizione videoludica, legata esclusivamente alla dimensione competitiva sia la mistica della meritocrazia. E per farlo consiglio, ai lettori e alle autrici del libro, la lettura di The Toxic Meritocracy of Video Games. Why Gaming Culture Is the Worst di Christopher A. Paul (University of Minnesota Press, 2018) che mostra – sempre partendo dal fenomeno del Gamergate – come il medium videoludico sia visto come l’esempio perfetto della meritocrazia – non importa chi tu sia ma solo se ti impegni veramente puoi “masterare” il videogioco o primeggiare nei giochi online o negli esport – ma in realtà sia un ambiente di discriminazioni e prevaricazione. Meritocrazia e assolutizzazione del gameplay sono gli strumenti perfetti per chi voglia perseverare il clima discriminatorio presente che tende ad espungere da esso chiunque al di fuori del classico maschio bianco eterosessuale (e un po’ sfigato, come da tradizione nerd) con strategie ben al di fuori del cerchio magico del gioco come trash talking, attacchi sessisti in- ed out-game. La corretta valutazione del peso della narrazione all’interno del videogioco (anche degli elementi narrativi in giochi come DOOM, nonostante la vulgata di uno dei suoi autori – John Carmack – che li vuole importanti alla stregua della trama nei film porno) è anche un modo per aprire spazi per persone diverse rispetto al nerd classico.

E questo mi porta alla seconda integrazione, relativa ai personaggi femminili nei videogiochi. Le autrici vedono in Lara Croft il personaggio cruciale che riesce ad mettere credibilmente una figura femminile in primo piano nel videogioco, sottolineandone l’evoluzione in personaggio anche psicologicamente (e fisicamente) credibile nell’aggiornamento compiuto nella trilogia reboot. Passando quindi dai personaggi “preistorici” costituiti da “damigelle in pericolo” (ad esempio Peach in Super Mario o la principessa Zelda) e dalle “damigelle utili” (ad esempio Elizabeth in BioShock Infinite o Tifa Lockhart in Final Fantasy VII) o dalla protagonista che deve fino alla fine nascondere il proprio sesso come Samus Aran in Metroid a figure femminili complete e credibili come Aloy di Horizon: Zero Dawn e Horizon II: Forbidden West, Senua di Hellblade: Senua’s Sacrifice, Ellie e Abby di The Last of Us Parte II. Ma, dal mio personale pantheon delle figure femminili videoludiche, mi permetto di segnalarne almeno altre tre (/quattro). La prima è Cate Archer, la spia protagonista dello sparatutto in prima persona The Operative: No One Lives Forever (Monolith/Sierra, 2000) che già 25 anni fa chiedeva ai nerd dell’epoca di vestire i coloratissimi e sixties panni di una femmina. La seconda è la Alice di Alice: Madness Returns (Spicy Horse/Electronic Arts, 2011). La terza e la quarta sono Chloe Frazer e Nadine Ross di Uncharted: L’eredità perduta (Naughty Dog/Sony, 2016) che, in questo spin-off, prendono il posto di Nathan Drake. Se No One Lives Forever è una coloratissima e divertente versione videoludica al femminile dei film dedicati a James Bond (direi in versione Roger Moore), e la protagonista declina al femminile i tipici tropi della serie, Alice: Madness Returns è di tutt’altrà profondità. Seguito di American McGee’s Alice (Rogue Entertainment/Electronic Arts, 2000), versione videoludica del capolavoro di Lewis Carroll e sempre sotto la supervisione di McGee, Alice: Madness Returns ci narra la storia di una Alice adolescente afflitta da disturbi mentali dopo l’incendio della casa in cui sono morti i suoi genitori che si aggira in due dimensioni altrettanto pericolose: la Londra devastata dalla Rivoluzione industriale e il Paese delle Meraviglie (che non è altro che la sua psiche) minacciata da una sorta di pece che prograssivamente ricopre e cancella ogni cosa. Infine Chloe Frazer – una tipica femme fatale negli episodi “canonici” – e Nadine Ross – un’avversaria di Nathan nel precedente Fine di un ladro – uniscono le forze per recuperare il tesoro legato alla zanna di Ganesh (una divinità del pantheon induista) confrontando il rapporto complicato con le rispettive figure maschili di riferimento. Tutti questi sono personaggi femminili hanno lasciato tracce profonde in chi li ha giocati (e possa essere condannata all’inferno EA per aver cancellato la produzione del terzo capitolo delle avventure di Alice) e la spiegazione ovviamente non sta solo nel gameplay dei titoli ma nella capacità di proporci personaggi, di proporci donne che abbiamo sentito, che abbiamo vissuto come vere, anche al di fuori dello schermo e della finzione.

Le tre autrici alla presentazione del libro lo scorso 10 gennaio presso la Cooperativa Popolare Infrangibile 1946 alla presenza del direttore del quotidiano Libertà Gian Luca Rocco
 Le dediche che mi hanno fatto le autrici sulla mia copia

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2 risposte a “Donne e videogiochi”

  1. Avatar Rappresentazioni femminili nei videogiochi – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] scorsa primavera avevo scritto qui del libro Videogioco: femminile, plurale di Fabrizia Malgeri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola e […]

  2. Avatar Giù, nel dungeon (con Carl e Princess Donut) – ossessioni e contaminazioni by francesco mazzetta

    […] il “Gamergate”, trattato in maniera esauriente nel libro Videogioco: femminile, plurale di cui ho scritto qui. In una parola si tratta del clima di discriminazione delle donne nel mondo videoludico – sia a […]

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