Era già da un po’ che mi ero scaricato While We Wait Here, gioco della software house italiana Bad Vices Games, ma avevo atteso per iniziarlo d’aver messo le mani su giochi più “corposi” (S.T.A.L.K.E.R. 2 e Forgive Me Father 2). While Wait Here (disponibile per PC su Steam, itch.io, Epic, per PS4, PS5, Xbox e Nintendo Switch)è un gioco breve, che richiede non oltre due ore complessive per essere terminato, anche le sue peculiarità spingeranno i giocatori a provare anche altre “run”. Il gioco in realtà è stato pubblicato lo scorso ottobre da Bad Vices Games, giovanissima software house composta da Eleonora Vecchi e Cristian Gambadori con all’attivo altri tre titoli: Hippocampus (2020), un soulslike imperfetto e a detta dei suoi stessi autori di una difficoltà tale da renderlo ingiocabile; Sexual Void (2020) un curioso sexual game in cui non abbiamo altro da fare se non vestire (o svestire) con vari outfit Vicky e farla “divertire” con i giochi sessuali a disposizione; e Ravenous Devil (2022), un simulatore horror culinario in cui l’ingrediente segreto è il crimine e dove dovremo servire ai nostri clienti pietanze preparate coi corpi delle nostre vittime. Tolto il primo (che, per ammissione di Gambadori, non è altro che il completamento di un gioco che aveva iniziato a sviluppare durante le scuole superiori) è possibile subito notare l’originalità e l’anticonvenzionalità dei soggetti (a questo punto do appuntamento qui sul blog per la prova anche di questi). E non è da meno, sotto questo punto di vista, anche While We Wait Here, anzi: qui ci vengono presentate anche scelte di tipo etico che ne fanno un vero e proprio “gioco filosofico”. Ma, con ordine, vediamo di cosa tratta e quali sono i suoi gameplay.

Eleonora Vecchi e Cristian Gambadori

While We Wait Here è ambientato quasi completamente in un “diner” (che potremmo tradurre “tavola calda”) su una interstatale statunitense gestito dalla coppia Cliff e Nora. Al suo interno si presentano diversi clienti, ognuno con la sua storia che in alcuni casi potremo esplorare dal punto di vista di ciascuno: il vecchio allevatore Hank, la giovane e bella promessa del cinema Mandy, Eddie che vive in una roulotte con stagnola in testa per proteggersi dagli alieni e dai federali, la coppia di amiche adolescenti Alex e Lisa, la coppia di neo genitori William e Rachel (con la loro figlioletta in fasce) oltre a uno sconosciuto ubriaco e fastidioso, soprattutto nei confronti della coppia di gestori. Fin da subito notiamo stranezze ed incongruenze: strani ed improvvisi cambiamenti climatici, strane apparizioni, incongruenze che ci fanno sospettare di trovarci in una dimensione altra rispetto al reale. Non di meno dovremo seguire i vari personaggi cercando di rispondere ai loro dubbi e decidere quali alternativa fare loro seguire. La grafica è volutamente sgranata, per rendere l’ambiente ancor più indefinito ed inquietante. Il gioco è sviluppato coi dialoghi in inglese ma sono presenti sottotitoli in italiano (oltre che in una vagonata di altre lingue).

Sopra ho parlato di gameplay al plurale perché in effetti While We Wait Here presenta due meccaniche di gioco principali ed almeno un altro paio di secondarie. Una di quelle principali è la gestione del diner con la preparazione degli ordini da servire ai clienti: si va dagli hamburger alle patatine, dalle uova con bacon ai milkshake, fino alle bevande costituite da caffè, birre e whisky. Preparazioni a cui si affiancano il lavaggio delle stoviglie e l’incasso dei pagamenti. Una routine relativamente semplice (non ci sono penalità per aver fatto bruciare qualcosa) ma che ha intrigato molti giocatori, tanto che gli store online sono pieni di richieste di realizzazione di una modalità di gioco che permetta semplicemente di gestire il diner senza preoccuparsi della storia. Quelle secondarie sono legate allo sparare da parte di Eddie agli alieni e alle attività in cui sono coinvolti Hank, Alex e William. La seconda meccanica di gioco principale è legata ai dialoghi e alle scelte che ci vengono proposte all’interno di essi. Scegliere ad esempio se dare o meno ancora da bere allo sconosciuto alterato inciderà fin da subito sul corso del gioco, ma l’effetto della maggior parte delle scelte potremo vederlo nei finali alternativi. E la cosa più interessante – a differenza della maggior parte dei giochi con finali alternativi – è che in While We Wait Here non ci sono finali buoni o cattivi: ogni finale è contemporaneamente buono per qualcuno dei personaggi e cattivo per qualcun altro. In alcuni casi non avremo indizi sulla ripercussione delle nostre scelte fino alla fine e quella che ci era parsa una scelta etica e ragionevole (per quanto magari dolorosa) si potrebbe scoprire alla fine maggiormente inadatta e ingiusta rispetto a quella che ci era parsa “facile” e “di comodo”.

Di videogiochi che al loro interno propongono scelte etiche ormai ce ne sono tanti. Personalmente sono particolarmente legato ad uno per cui più di un critico ha negato che la scelta al suo interno possa davvero essere qualificata etica: Bioshock 2. All’interno del gioco abbiamo la possibilità di salvare le bambine portatrici dell’“Adam” che ci serve per attivare i poteri o di “assorbirle”. Chi sostiene che la scelta non sia davvero etica lo fa argomentando che il giocatore non è penalizzato dalla scelta etica dato che salvare una bambina gli fa ricevere meno Adam nell’immediato, ma per ricompensarlo le bambine salvate gli fanno trovare sul percorso regali pieni di Adam. In effetti la scelta si rivela etica non durante il percorso ma piuttosto alla fine quando, se avremo salvato tutte le bambine nel gioco, otterremo un finale in cui le bambine, assieme alla Big Sister, ci condurrà in maniera riguardosa e compassionevole al termine della nostra esistenza di investigatore inviato ad indagare sulla scomparsa di bambine negli abissi di Rapture ma, catturato e imprigionato in un corpo di metallo, condannato a fungere da prototipo per i Big Daddy. Qui è perfettamente chiaro – in retrospettiva – quali fossero le scelte eticamente corrette da compiere. Al contrario in While We Wait Here, anche nei finali del vecchio Hank e dell’ufologo Eddie, pur se apparentemente non coinvolgono nessun altro personaggio, non è scontata la preferenza per uno dei due. Siamo certi che Hank non ami davvero le sue bestie nonostante i soprusi subiti dal padre? Siamo certi che quelle di Eddie siano davvero solo fantasticherie?

Questi temi sono tornati di recente alla mia attenzione per un gioco filosofico sviluppato dalle bibliotecarie della Biblioteca di Filosofia dell’Università di Milano: L’Oca filosofica come forma di laboratorio ludico di filosofia principalmente rivolto a bambini e i ragazzi della scuola primaria e secondaria di primo grado. L’Oca filosofica è – come si può intuire dal nome – un gioco dell’oca in cui sono inserite domande su cui riflettere che vengono rivolti ai giocatori una volta che s’incappa nella relativa casella. Come specificano le istruzioni:

Poiché le domande sono “filosofiche”, non esistono risposte più o meno giuste: ognuno si prende semplicemente la responsabilità di pensare alle domande con serietà e di condividere con gli altri il proprio pensiero. Gli altri giocatori possono intervenire per esprimere il proprio parere o fare ulteriori domande, se incuriositi.

Da qui è possibile intuire come qualsiasi tipo sia la risposta essa non applica nessun bonus o malus al percorso del giocatore (tranne in alcuni casi che tuttavia non cambiano radicalmente la meccanica): dal punto di vista ludico, pertanto, il gioco resta una versione non modificata del gioco dell’oca. Ed alle autrici Luana Varalta e Carla Nigro – interrogato in qualità di componente del Gruppo di lavoro sul gaming in biblioteca dell’Associazione Italiana Biblioteche su un possibile miglioramento grafico del gioco – ho espresso le mie perplessità non tanto sulla grafica ma sulla meccanica scelta, puramente legata all’alea del tiro dei dati: il gioco vuol far riflettere bambini e ragazzi su temi come:

Quanto e quando ti senti libero? Sei libero di essere e fare tutto? Lo sei più da solo o insieme agli altri? Sei responsabile della tua libertà? Se non hai alternative, sei comunque libero?

Che cosa ti piace del fatto di trasgredire le regole? Cosa ti piace del fatto di averle?

Credi in un destino prestabilito? Se sì, tira il dado e avanza di tot caselle se esce un numero pari, indietreggia se esce un numero dispari. Pensi di poter decidere tu della tua vita? Avanza di 2 caselle [esempi di domande presenti nelle varie caselle, compresa l’ultima che applica comunque premialità o penalità sostanzialmente casuali]

Mentre invece la meccanica del gioco prevede un determinismo assoluto legato al casuale lancio dei dati. Bambini e ragazzi sono portati a riflettere su temi rilevanti ma dando l’impressione che le autrici abbiano a loro volta trascurato di riflettere sulla scelta filosofica compiuta nell’utilizzare una specifica meccanica ludica. While We Wait Here è esattamente il gioco (in realtà il suo abbozzo: le scelte presenti sono forse troppo poche per l’attività laboratoriale progettata dalle due colleghe) che avevo in mente esprimendo le perplessità per la meccanica dell’Oca filosofica: un gioco che, all’interno di una meccanica “cozy” come quella della quotidiana gestione di un diner, ci pone delle questioni la cui soluzione ci lascerà comunque dubbi e ci spingerà a riflessioni ulteriori.

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson