In questo post voglio introdurre un libro non recente (il bello di un blog personale è anche quello che non si è costretti a inseguire le novità) ma, secondo me, che può fare molto riflettere non solo chi sia interessato alla filosofia cinese. Il libro è La filosofia del Daodejing di Hans-Georg Moeller, pubblicato da Einaudi nel 2007, un anno dopo la sua pubblicazione originale in inglese. All’epoca l’autore era professore associato di filosofia alla Brock University in Canada, mentre ora è docente all’Università di Macao. Tra le sue pubblicazioni è possibile trovare sia studi sulla filosofia cinese e in particolare sul daoismo (o “taoismo”), ma anche studi su Niklas Luhmann e l’ultimo suo saggio del 2021 è stato pubblicato anche in Italia da Mimesis: Il tuo profilo e te. L’identità dopo l’autenticità.

Nel saggio sul Daodejing (conosciuto anche come Tao Te Ching – il Libro o Classico della Via e della Virtù – e col nome del suo fittizio autore: Laozi) Moeller spiega al lettore occidentale uno dei testi cardine della filosofia cinese mettendolo a confronto con i principali autori della filosofia occidentale: Platone, Sant’Agostino, Kant, Nietzsche, Heidegger, ecc. Per presentare il libro vorrei soffermarmi in particolare su due elementi che sono di estremo interesse non solo a livello personale ma anche per chiunque si trovi spaesato nel mondo politico attuale (per comodità di lettrici e lettori inserisco i relativi sottotitoli).
L’“ipertesto” Daodejing
Il primo elemento riguarda l’origine e la modalità di lettura del Daodejing. Moeller spiega che questo testo, risalente ad un periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C., non deve essere considerato un libro in senso moderno. La sua origine è una serie di poemi “educativi” a trasmissione orale riservati a sovrani e governanti. Non era quindi prevista una sua diffusione tra il popolo e da questo deriva la sua natura oscura ed “esoterica”. La forma a poemi relativamente brevi e indipendenti serve inoltre a facilitare la sua memorizzazione da parte del saggio che affianca il sovrano per offrirgli consigli. La sua forma attuale deriva dai ritrovamenti in tombe dato che il testo era considerato elemento di distinzione per le figure nobili. Ma è stato trovato legato con ordini diversi in diverse tombe a dimostrazione del fatto che, fino ad un certo punto, esso non ha avuto un ordinamento predefinito. Moeller dunque propone di non leggerlo in maniera lineare ma piuttosto lo avvicina all’ipertesto costituito da tanti segmenti di testo separati che vanno “navigati” seguendo i link ipertestuali. Gli “hyperlink” del Daodejing sono i concetti chiave all’interno di ogni capitolo: valle, cielo, femmina, diecimila esseri, radice, ecc.
Moeller procede, nella sua trattazione, proprio con questa modalità, “saltando” da un capitolo all’altro, ma sarebbe interessante, seguendo questa sua intuizione, predisporre un’edizione elettronica con il testo navigabile in modo rizomatico. Tra l’altro la brevità del testo e la sua strutturazione in capitoli brevi o brevissimi renderebbe anche relativamente semplice l’operazione. Che resta invece complessa non tanto per la forma materiale del testo ma piuttosto per l’oscurità del contenuto anche a livello di traduzione e d’interpretazione. Lo stesso Moeller nel suo saggio almeno in un caso va decisamente contro l’interpretazione corrente del testo daoista: le pratiche relative all’immortalità personale del saggio daoista. Nel daoismo come religione infatti si crede che le pratiche di “non azione” e di “preservazione dell’energia vitale” possano condurre il saggio daoista a prolungare indefinitamente la propria vita. Moeller interpreta invece i passi del Daodejing utilizzati per giustificare questa credenza in maniera diversa e allineata alla sua interpretazione generale del testo: le prescrizioni presenti non sono destinate ai singoli individui ma alla società nel suo complesso. Perciò la perpetuazione non è quella individuale ma piuttosto quella del corpo sociale se, al suo centro, il sovrano riesce ad essere vuoto e fermo come il mozzo della ruota permettendo che intorno a lui tutto si svolga conformemente alle leggi naturali. E Moeller legge tutto il Daodejing nell’ottica “politica” sopra richiamata, dividendo la trattazione sui vari aspetti dell’agire pubblico, anche da un punto di vista psicologico, morale ed etico: la sfera sessuale, l’agone politico, la gestione della guerra, l’economia, l’etica, le sanzioni e la pena di morte. Il tutto riportato in una sfera di pensiero pre- e soprattutto a-umanista, dove cioè la dimensione umana non è considerata speciale e privilegiata all’interno del cosmo come avviene nel pensiero Occidentale da Platone, dal Cristianesimo e soprattutto dall’Illuminismo in poi, ma “semplicemente” è una dimensione che dinamicamente si va ad inserire assieme a tutte le altre nell’eterno divenire della natura.
Daodejing: un’alternativa al capitalismo e alla democrazia
Nell’ottica appena richiamata della filosofia a-umanistica del Daodejing, mi sembra particolarmente utile, anche per chi non abbia un particolare interesse ad approfondire la conoscenza del classico cinese, riflettere sul rapporto tra la sua visione dell’economia e del sistema di governo e gli analoghi attuali, nel modo in cui tale rapporto viene indagato e illustrato da Moeller.
Dal punto di vista dell’economia Moeller spiega che il Daodejing consiglia a chi governa di limitare al minimo il sorgere di desideri nel popolo e di preoccuparsi che siano sempre soddisfatti i bisogni di base (cibo, sicurezza e poco altro). Il creare desideri rende il popolo insoddisfatto e quindi irrequieto, portando a disordini. Il creare bisogni (più o meno fittizi) e quindi desideri è però il principio cardine su cui si muove l’economia capitalista che quindi è l’esatto opposto del daoismo. Il problema del creare desideri Moeller lo spiega prendendo spunto da un esempio presente nel testo che riguarda il senso del gusto. Se mi piacciono i cibi piccanti desidererò mangiare cibi sempre più piccanti arrivando però al punto di non riuscire più ad apprezzare il piccante dei cibi perché il mio gusto si sarà assuefatto al piccante che tenderò a ricercare più per la sua quantità/intensità che non per la sua qualità all’interno del gusto complessivo delle vivande consumate. Al contrario se affino il mio gusto al cibo “insapore” sarò sempre in grado di valutare la qualità anche di un cibo piccante. La corsa al piccante esemplifica perfettamente la filosofia alla base del modello di economia capitalista che ci spinge ad avere sempre di più (di denaro, di cose, di piaceri, ecc.) non riuscendo però ad apprezzare quello che effettivamente abbiamo.
Allo stesso modo il Daodejing offre spunti interessanti di riflessione sul modello democratico di gestione del potere politico che sembra attualmente inceppato (e penso – ovviamente? – all’elezione di Trump a capo della nazione più importante al mondo). Lascio qui la parola all’autore:
Un primo quesito potrebbe essere il seguente: la società odierna, così concentrata sugli esseri umani e sui loro diritti – quali la libertà dell’individuo, la proprietà privata e così via – esprime realmente, e in modo assoluto, valori positivi? A tal proposito, il Laozi [l’autore usa per comodità/brevità questa forma del titolo] fornisce spunti critici riguardo alla pressoché esclusiva focalizzazione sull’elemento “umano” della società odierna, in un modo alquanto simile a quello espresso dal movimento della deep ecology. In linea con il Laozi, ci potremmo chiedere se “il popolo” debba essere davvero considerato l’unica autorità e, allo stesso tempo, il solo beneficiario dell’azione politica. Gli effetti negativi e altamente distruttivi della ratio “umanistica” sull’ambiente non umano sono sotto gli occhi di tutti. E ancora, pare essere troppo arduo attuare una linea di governo che ponga concretamente gli interessi – per così dire – degli animali e delle piante sullo stesso piano di quelli degli uomini. Da un’ottica puramente umanistica e democratica, d’altronde, è inconcepibile che a tali forme di vita sia accordata una “voce” politica: non sarebbero mai in grado di votare, di formare un partito, o di produrre un ordinamento legislativo, restando, così, sostanzialmente esclude, anche posta l’esistenza di un partito “ecologista”, l’adesione al quale, in fin dei conti, sarebbe riservata esclusivamente agli esseri umani. Il Laozi, dal canto suo, guarda all’attività politica non tanto come a uno strumento che serve a incanalare gli interessi umani, ma piuttosco come a un meccanismo utile a tenere tali interessi sotto controllo e, in particolare, in armonia con gli “interessi” di “cielo e terra”. Il sovrano, inoltre, non è un “rappresentante” del popolo, poiché “rappresenta” “cielo e terra” all’interno della società. La sua principale funzione consiste nel recare beneficio alla comunità, contribuendo alla sua armonica partecipazione all’attività del Dao [la Via, il ciclo eterno attraverso cui si struttura la vita del mondo naturale]. Un’interessante sfida, dunque, potrebbe essere rappresentata dall’inclusione di interessi non-umani in una teoria politica “post-democratica” o “post-umanistica”.
[…]
Nell’ottica del Laozi, i principi politici dovrebbero essere idealmente ispirati al disinteresse e all’imparzialità: come già osservato, il sovrano prende le distanze dalla comunità al fine di mantenere tutta la propria neutralità. Egli è “il padre e la madre” di tutti, non incarna un dato “partito”. Una teoria politica “post-democratica” e “post-umanistica”, dunque, oltre a tentare di costituire meccanismi in grado di estendere la fonte dell’autorità al di là dei confini dell’ambito umano, potrebbe schierarsi a favore di forme di governo che mirino a incrementare il grado d’imparzialità di chi detiene il potere. Meccanismi simili certamente hanno già luogo, per esempio, tra le corti e le assemblee internazionali non elette. Secondo la prospettiva laoziana, sarebbe sensato controbilanciare i centri di potere frutto del suffragio, per definizione parziali, con istituzioni politiche intrinsecamente meno di parte. A detta del Laozi, il potere politico deve far capo, in ultima analisi, a un’istituzione che sia completamente libera da parzialità o da interessi soggettivi. Benché sia da dimostrare l’attuabilità di un simile piano, sarebbe tuttavia preferibile operare per la creazione di istituzioni che si avvicinino a questo ideale più di quanto facciano quei governi che sono stati eletti sulla base degli interessi di un gruppo necessariamente selezionato di persone. (p. 79-81)
È indubbio che la situazione di “governo del territorio” sia oggi assai peggiore di quanto non fosse nel 2006 quando è stato pubblicato il libro di Moeller e le prospettive sono addirittura peggiorate con la presa di potere di classi politiche che al posto di proseguire con convinzione e coerenza azioni per evitare il deterioramento irreversibile dell’ambiente naturale si dirigono verso dimensioni di sfruttamento delle risorse naturali, di scarsa attenzione alla riduzione dell’inquinamento, di non riconoscimento del collegamento tra fenomeni ambientali e umani (il più evidente quello migratorio). La soluzione è quella di mettere in mano il potere politico ad un sovrano slegato da bisogni e interessi umani? Ovviamente le domande sono: chi lo sceglie? come possiamo essere certi che tale sovrano sciolto dagli interessi particolari faccia davvero gli interessi generali e non i propri? L’impostazione tipica del Daodejing è il paradosso: Moeller lo spiega in maniera efficace prendendo il caso della pena di morte che il daoismo ammette nell’ottica che tale pena funzioni come deterrente e che non sia mai applicata (perché se venisse applicata, minerebbe il senso della norma stessa andando a perturbare il corso naturale della vita del condannato) ponendosi diametralmente all’opposto della discussione su questa pena che nel mondo Occidentale moderno parte da Kant e si esplica sia in favorevoli sia in contrari nella dimensione della “vendetta” e dell’interesse privato da tutelare o dei diritti esclusivi degli esseri umani. Dal punto di vista del paradosso evidentemente la negazione della democrazia si pone nell’ottica di togliere il potere dalle mani delle fazioni (partiti) che lo usano esclusivamente o prioritariamente per supportare i propri interessi per porlo nelle mani di chi, non avendo alcun interesse, può utilizzarlo per il bene complessivo.
Moeller, scrivendo nel 2006, ancora non poteva avere conosciuto l’esperienza di autogoverno attuata in Rojava (ne ho scritto un paio di post qui e qui): si tratta sostanzialmente di una società che rinuncia al potere politico che viene sostituito da una autogestione di tipo partecipativo a cui tutte e tutti sono chiamati a partecipare e possono concretamente farlo perché si attiva con assemblee locali che individuano i rappresentanti da inviare a quelle di coordinamento regionale. Di fatto sempre di democrazia si tratta, ma di democrazia diretta in cui ognuno e ognuna rappresenta i propri bisogni e interessi. Moeller probabilmente risponderebbe che non basta a garantire un’azione ecologica a livello globale. E certo avrebbe ragione, ma potrebbe anche solo essere un punto di partenza per sradicare i meccanismi del potere che ogni giorno di più ci stanno spingendo verso il baratro del disastro ambientale?

Link nel post:
- Pagina dedicata a La filosofia del Daodejing sul sito Einaudi: https://www.einaudi.it/catalogo-libri/filosofia/filosofia-antica/la-filosofia-del-daodejing-hans-georg-moeller-9788806184360/
- Pagina dedicata a Il tuo profilo e te sul sito Mimesis: https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857586533
- Mio post su Confederalismo democratico: una sintesi personale: https://ossessionicontaminazioni.blogspot.com/2020/02/confederalismo-democratico-una-sintesi.html
- Mio post su Economia anticapitalista in Rojava: https://ossessionicontaminazioni.blogspot.com/2023/11/economia-anticapitalista-in-rojava.html

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