L’uscita dell’ultimo album di Beyoncé, Cowboy Carter, ha sollevato un polverone di commenti sull’artista di colore che in modo intelligente si approccia ad un genere musicale (apparentemente) che più bianco non si può: il country.
Se qualcuno non se la fosse mai sentita, metto ad esempio Texas Hold’em:
In realtà ci sono già esperienze in questo senso, musicalmente se non commercialmente, più rilevanti di quella di Beyoncé. Prendiamo ad esempio Shemekia Copeland che affronta il country con un approccio soul come in Fried Catfish And Bibles
o in Fell In Love With A Honky
(entrambe dall’ultimo album Done Come Too Far del 2022, album secondo tra i miei dieci preferiti del 2022). Ma, inevitabilmente, il ben diverso impatto commerciale di Beyoncé risveglia attenzione ben maggiore interessando quelli che non si sognavano di tenere d’occhio questo risvolto della musica pop statunitense. Al contrario di queste “relazioni pericolose” sto tenendo traccia già da un po’ (forse con il torto di non averne scritto prima), in particolare a seguito della presentazione di un libro di Max Stefani a Piacenza e della discussione che ne era emersa col pubblico presente (tra cui il sottoscritto) sul fatto che sostanzialmente tutta la musica pop possa essere ricondotta alla musica dei neri americani. Pensiamoci: il blues, il soul, il gospel nascono come musica sociale e vengono presi e trasformati dai bianchi in una macchina di realizzazione economica (il jazz, il rock, ecc.). Tra tutte le forme di musica popolare bianca forse quella con minori influenze nere è proprio il country, che deriva più dal folk anglo-irlandese degli immigrati. Per arrivare al rap e all’hip hop che, fino ad un certo punto, sono rimasti ad oggi una musica a predominanza nera. Ciò non toglie che sia incappato, proprio alla metà degli anni ‘10, in alcuni artisti che realizzavano un mix decisamente interessante. Il video che all’epoca mi aveva “appassionato” di più è stato We All Country dei Moonshine Bandits (dall’album Calicountry del 2014):
Era il 2016 e mentre gli artisti cantano “We All Country” io invece sentivo “Vote for Trump” tanto il video è un ritratto perfetto dell’America bianca e rurale, ossessionata dalle armi e dal rifiuto dei diversi (neri in particolare, ma non solo), dalle grigliate nell’aia annaffiate da fiumi di birra e dalla difesa ad ogni costo del proprio modo di vita (anche “tradendo” i numi tutelari del genere dato che una strofa sentenzia esplicitamente che non “staranno in riga” contraddicendo quel Walk the Line che è uno dei primi e più grandi successi di Johnny Cash). Quello a cui stavo assistendo era una appropriazione del rap/hip hop mettendolo al servizio del genere (e dell’ideologia) country. A partire dalle canzoni dei Moonshine Bandits avevo seguito all’epoca le fila del genere navigando nella rete delle collaborazioni. L’interesse non è comunque andato oltre un certo punto perché la musica risulta tutto sommato ripetitiva e l’interesse è stato più che altro trascinato dai video in cui alla figura femminile è quasi esclusivamente riservato un ruolo di attrazione sessuale (ballerine estremamente poco vestite che sembrano eccitarsi davanti a panzoni tali – e scusate il body shaming – da farti sospettare che anche tu, maschio eterosessuale qualunque, potresti avere una chance).
Da questa prospettiva quello di Beyoncé sarebbe una sorta di furto al quadrato, o piuttosto il riprendersi quello che era già una caratteristica della musica nera. Per questo non è una sorpresa, ma piuttosto una gradita conferma lo scoprire dell’uscita recentissima dell’album Where I’ve Been, Isn’t Where I’m Going di Shaboozey (che, guarda caso, ha collaborato con Beyoncé proprio per due tracce di Cowboy Carter). Nato nel 1995 in Virginia, al suo terzo album raggiunge la posizione n. 1 nella classifica country statunitense con la canzone A Bar Song (Tipsy) che riporto qui:
Shaboozey (come Beyoncé, come Shemekia Copeland) è meno chiaramente posizionato dal punto di vista dell’immaginario sociale, ma forse questo è necessario per riuscire ad entrare in quella parte del pubblico country non così apertamente schierata politicamente (perifrasi per non dire: razzista) e non di meno un passo in avanti a questo (nuovo?) genere dopo le performance alla fine un po’ troppo stucchevolmente tutte uguali dei country rapper bianchi. In più va a inserirsi (come i country rappers bianchi) nell’immaginario “working collar”, probabilmente non più alla portata delle star hip hop nere. Per quanto mi riguarda, finalmente una sfaccettatura della musica hip hop che riesco ad apprezzare (ed anche a rilanciare ai figli che mi riempiono di Travis Scott, Kanye West & Co.).
Link nel post:
i miei 10 album preferiti del 2022: https://ossessionicontaminazioni.com/2022/12/27/2022-musica/

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