copertinaQuel giorno Dio era malato

in un paese di fame e pietre

nacque il figlio di un vulcano

e di un fiocco di neve

Erano i tempi della battaglia

delle ferite delle bandiere

delle fughe sulla montagna

delle camice nere

Passerà come acqua lungo il fiume

come passa questo vento

come passi soli nel tempo

En el fruente de Jarama

nella guerra in Spagna

chi ricorda il nome

della sua compagna

Ma chi sa dire

se è paura o amore

che t’incendia il cuore

che ti fa morire

gatefold_LP_GANG.inddPasserà come acqua lungo il fiume

come passa questo vento

come passi soli nel tempo

Vennero i giorni delle menzogne

delle bestemmie delle preghiere

dei compromessi e le piazze vuote

nuovi altari nuove frontiere

Ora è solo come la pioggia

come pioggia nelle strade

con le radici con le sue ali

come un re di spade

Solo come un sospiro

un orizzonte perso di vista

è solo come un gigante

è solo un vecchio comunista

Passerà come acqua lungo il fiume

come passa questo vento

come passi soli nel tempo

Passerà come acqua lungo il fiume

come passa questo vento

come passi soli nel tempo

Il titolo del libro che Mauro Severini ha appena pubblicato (col supporto di Alberto Sebastiani), Quel giorno Dio era malato. Sulle strade dei Gang, storie e canzoni (Milieu Edizioni) riprende la prima strofa della canzone Le radici e le ali, che fa da “title track” dell’album del 1991: il primo in italiano dopo tre cantati in inglese che avevano valso ai Gang (già “The Gang”) la qualifica di Clash italiani. Non un caso che l’evento che fa scattare in Marino (e in suo fratello Sandro, colonna silenziosa ma imprescindibile del gruppo) la molla per la creazione dei Gang è la partecipazione al loro concerto, il 1° giugno 1980, a Bologna. È proprio la prima delle storie presenti nel libro: vedere Joe “strimpellatore” Strummer sul palco è la scintilla che convince Marino a preoccuparsi meno delle capacità tecnico-musicali (pure assolutamente non assenti, data la presenza di una madre che amava cantare e ballare e le lezioni di chitarra ritmica prese da ragazzo) e più dell’urgenza di comunicare storie ed emozioni. E dopo i primi tre album in inglese (un inglese in realtà che non ha molto da invidiare a quello parodiato di Renzi) – Tribe’s Union del 1984, Barricada Rumble Beat del 1987 e Reds del 1989 – col sostegno e col supporto di Alessandro Portelli, ecco uscire nel 1991 l’album della svolta, non solo perché cantato in italiano, ma anche perché inizia a svincolarsi dall’eredità dei Clash e a cercare le radici dell’ispirazione nella canzone popolare nel solco percorso da Woody Guthrie. Perché se è Strummer la scintilla per far partire i Gang, è Guthrie – citato da Marino nel libro dall’inizio alla fine – a portare la benzina per far sì che il motore della band cammini ancor oggi (in uscita Fra silenzi e spari, finanziato col crowfunding).

I Gang ho iniziato a conoscerli e ad ascoltarli a partire da Reds, recensito benissimo all’epoca dal Mucchio Selvaggio, ed ho proseguito l’acquisto e l’ascolto fino ad oggi, intervistando anche Marino all’epoca della mia collaborazione col settimanale piacentino Corriere Padano. In realtà ho però sempre pensato che i due loro album meglio riusciti fossero appunto Le radici e le ali e il successivo (1993) Storie d’Italia. Tra l’altro era il periodo in cui stava avendo attenzione e successo tutta una scena alternativa e controculturale musicale: i Modena City Ramblers (Riportando tutto a casa del 1994 e La grande famiglia del 1996), i 99 Posse (Curre curre guagliò del 1993), Almamegretta, Bisca, Daniele Sepe, ecc. Anche come reazione alla crescente influenza politica della destra in Italia, sdoganata da una parte da Berlusconi e dal berlusconismo e dall’altra dalla Lega Nord, entra nei testi e nelle storie delle canzoni il tema della Resistenza come valore da conservare e da tramandare, come mito fondante della Comunità di cui Marino tesse le lodi. E se già in Le radici e le ali se ne può leggere un richiamo (le fughe sulla montagna e le camice nere), è proprio con Storie d’Italia che inizia la proposta di canzoni che realizzano una vera e propria mitografia resistenziale: Eurialo e Niso (col testo di Massimo Bubola), La pianura dei sette fratelli (in Una volta per sempre, 1995) dedicata ai fratelli Cervi e che Marino giudica la migliore canzone che ha scritto sul tema, È terra nostra (in Il seme e la speranza del 2006), Ottavo chilometro (in Sangue e cenere del 2015), 4 maggio 1944 (su La rossa primavera del 2011).

Nonostante sappia ancor oggi cantare a memoria Bandito senza tempo e che abbia continuato a seguirli, gli album successivi a Fuori dal controllo del 1997 ammetto di averli ascoltati sempre più distrattamente, sempre più convinto che la scrittura dei testi e le storie che narravano non fosse retta da una altrettanto forte creatività musicale, con i moduli ritmici che si riducevano troppo spesso a “cantilene” binarie (alla Kowalsky: “Sul tetto del Leoncavallo / Kowalsky come un gallo / Tirando le sue frecce / Chiese a Robin Hood…”). È perciò che sentitamente ringrazio Marino Severini (e Alberto Sebastiani) per questo libro dove – come e più che in concerto – ogni canzone è “raccontata” e spiegata, vengono chiariti i riferimenti, soprattutto alle persone che le hanno ispirate, e anche le canzoni musicalmente meno felici acquistano un interesse ed una forza ineludibili. Il libro è poi organizzato con i testi riportati assieme ad un codice QR che rimanda per ognuno al video presente sulla pagina YouTube del gruppo in modo che dopo aver letto l’introduzione possiamo ascoltare la canzoni (e in qualche caso vedere anche qualcuno dei pochi video ufficiali). Insomma Quel giorno Dio era malato (libro) è una sorta di playlist dove Marino sceglie le sue canzoni preferite, o almeno quelle che ritiene più significative nell’evoluzione musicale e culturale sue e dei Gang. E se qualcuno pensa che sia tutto sommato un’operazione nostalgica, non ha evidentemente fatto i conti con Marino Severini: che può anche voler prima di tutto fare “canzone popolare”, ma che è tutt’altro che a digiuno di letture e ideologia e il suo concetto di “Miseria” (che è sì povertà, ma non solo materiale, anche e prima di tutto di idee e sentimenti, di relazioni e di speranza) paradossalmente si attaglia benissimo ai nostri tempi di guerre e di mancanza di solidarietà, di politichese senza politica, di slogan senza ideali. Infine la lettura di Quel giorno Dio era malato non può non far nascere (o meglio: rinascere) il desiderio di tornare a vedere i Gang in concerto e chissà, magari davanti a un bicchiere di rosso, poter scambiare ancora quattro chiacchiere con Marino (e col suo silenzioso fratello).

Una replica a “Gang playlist”

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Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

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