Sinister Film ripropone, restaurato in HD, nella collana Horror d’essai, Near Dark – in italiano Il buio si avvicina -, il film del 1987 che ha fatto conoscere Kathryn Bigelow al grande pubblico (dopo altri due film che non hanno avuto distribuzione internazionale). Il successo di Near Dark apre le porte di Hollywood alla Bigelow che dirigerà Blue Steel nel ‘90 con Jamie Lee Curtis e farà definitivamente il botto col successivo Point Break del 1991. Nel 1987 sono stato letteralmente folgorato dalla love-story western a base di vampiri e ne avrei sicuramente scritto se all’epoca ci fossero stati i blog o avessi già iniziato a collaborare a fanzine o riviste (avrei in realtà iniziato di lì a poco con Aleph, fanzine del piacentino Il Senso delle Nuvole). Per anni in realtà ho cercato, in formato fisico, il film, che sembrava uscito dai radar degli editori (non solo) italiani. L’unico (a parte i primi due mai distribuiti) che mi mancava della Bigelow, senza ombra di dubbio uno dei miei registi preferiti ed altrettanto indubitabilmente l’unica femmina del “wild bunch”.
È quindi con sommo gaudio che ho scoperto della ripubblicazione del film in un’edizione arricchita da un’intervista ad una giovane regista subito dopo la sua uscita e da un commentario completo della stessa (purtroppo quest’ultimo senza sottotitoli).
Riguardandolo (già due volte) ho la conferma di quanto Near Dark contenga già degli sviluppi futuri e più maturi della regista. Innanzitutto il suo è un cinema “maschile” e “testosteronico” (molto di più di quello di tanti altri suoi colleghi maschi). Anche quando la protagonista è di sesso femminile – come, ad esempio, la Maya Harris di Zero Dark Thirty – risulta avere “più palle” dei maschi con cui è costretta a confrontarsi.
Un altro tema che ritorna nel suo cinema è quello della “famiglia” inteso come piccoli gruppi uniti da legami familiari o di amicizia che si confrontano tra loro o con la società per la sopravvivenza. I vampiri di Near Dark come i surfisti di Point Break, nonostante debbano soccombere per ristabilire l’equilibrio della storia, non sono mai dipinti dalla regista in maniera totalmente negativa tanto che lo spettatore non riesca ad immedesimarsi in loro e provare pena per la loro inevitabile sconfitta. In fondo sono proprio loro, come nella tragedia greca, i veri eroi delle storie della Bigelow.
I vampiri uniti all’estetica western verranno ripresi, undici anni dopo, nel Vampires di John Carpenter. Per quanto Carpenter fosse all’epoca un regista assai più “navigato” della Bigelow di Near Dark (a proposito, ovviamente Carpenter è un altro dei registi del mio “wild bunch”), in Vampires alcuni elementi già presenti nel film della Bigelow vengono remixati e ripresentati, ma con interessanti differenze. Come già rilevato la presenza dei vampiri che si nutrono di sangue e che possono essere sconfitti solo dalla luce del sole e l’ambientazione western, ma anche la storia d’amore. Se in Near Dark si tratta del motore stesso della narrazione, in Vampires è un elemento che si aggiunge alla narrazione solo in corsa, ma che cambia in maniera significativa i rapporti tra i personaggi principali. Se Near Dark è una sorta di Romeo e Giulietta western-horror dove c’è l’amore dei due protagonisti, Caleb e Mae, contrastato dalle rispettive “famiglie”, Vampires è un buddy-buddy prima tra Crow e Montoya e poi tra Crow e padre Guiteau mentre Montoya si stacca dal pard per legarsi alla prostituta che lo ha vampirizzato. Inoltre in Near Dark il gruppo dei vampiri, per quanto potenti e quasi immortali, sono comunque un gruppo di dropout disturbati e borderline, mentre Carpenter li dipinge come un’infestazione guidata dai potentissimi maestri, in particolare l’antesignano Valek che richiama in modo esplicito l’iconografia vampiresca classica.
Mentre poi in Vampires i vampiri si adattano alla perfezione alle ghost town del New Mexico utilizzate come nascondigli diurni, in Near Dark Bigelow separa gli elementi western e vampireschi come se fossero elementi che si respingono a vicenda come acqua ed olio. Non è un caso che il cavallo di Caleb reagisca alla presenza della vampira Mae ribellandosi e fuggendo fino a quando Caleb ritorna ad essere umano. Anche il cappello da cowboy che vediamo indossato da Caleb fin dalla prima sequenza in cui appare nel film (schiacciando una zanzara che gli sta succhiando il sangue) viene perso quando sale sul camper dei vampiri e tornerà ad indossarlo solo, una volta devampirizzato, quando si dirigerà verso lo showdown finale per salvare la sorella. In qualche modo Bigelow rappresenta l’irruzione dell’elemento urbano che tenta di contaminare il contesto rurale americano di cui Cormac McCarthy è il sublime e lucidissimo cantore. E se quella diurna è la dimensione del bene rurale a cui torna Caleb dopo aver salvato la sorella ma anche aver resa umana Mae, quella notturna dei vampiri è comunque mostrata come una dimensione poetica e artistica che all’inizio del film Mae cerca di mostrare e far percepire a Caleb. Questa sospensione del giudizio sui “cattivi” della storia, ed anzi lo sguardo in più punti appassionato con cui la camera li accarezza, in maniera particolare ovviamente Mae, ma anche il vampiro “anziano” Jesse (interpretato da Lance Henriksen), conduce lo spettatore a parteggiare per loro non solo quando sono attaccati dalla polizia nel motel, ma addirittura quando alla fine si lasciano morire accecati dal “cupio dissolvi”. E se apparentemente nel Vampires carpenteriano abbiamo una situazione opposta in cui non sembra mai che i vampiri riescano a fare emotivamente breccia nello sguardo della storia, in realtà alla fine il nemico (come spesso si scopre in Carpenter) non è quello che sembrava all’inizio, o quanto meno quello affrontato all’inizio non è il peggiore: il nemico peggiore dei cacciatori di vampiri guidati da Crow non sono i vampiri ma la chiesa stessa che li ha creati e che li vorrebbe rendere più potenti per il proprio tornaconto.
Ultima notazione per la bellissima, onirica, colonna sonora composta ed eseguita dai Tangerine Dream.
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