Sono stato attratto da Nefando, romanzo della scrittrice ecuadoregna Mónica Ojeda pubblicato da Alessandro Polidoro Editore, dalla recensione di Francesco Olivo su TuttoLibri de La Stampa del 5 marzo. Olivo nella sua recensione esordisce così (in realtà quella riportata è quasi tutta la recensione a cui segue l’intervista alla scrittrice):
Un gruppo di ragazzi, un appartamento spagnolo, un videogioco che sconvolge chi si connette alla Rete. Laggiù in fondo a Internet c’è di tutto e spesso non sono cose gradevoli da sapere. Qualcuno però dovrà pur raccontarlo, ci vuole coraggio, delicatezza e anche una certa classe. Tutte qualità che Monica Ojeda ha dimostrato scrivendo Nefando, un romanzo nato dalle cose più orribili e che per i miracoli che fa la letteratura, è diventato un piccolo gioiello, duro, ma da leggere.
Nel deep web questa scrittrice ecuadoreña, ha trovato le cose più orribili e ha avuto l’ardire di raccontarle. La sinossi di Nefando può spaventare e alcune pagine qualche pugno allo stomaco effettivamente lo assestano, ma la forza delle parole, ricercate e scelte con classe (qualità che si mantiene intatta nella traduzione in italiano di Massimiliano Bonatto), riesce nell’impresa: il mostruoso può essere descritto con grazia e l’indicibile viene nalmente nominato.
Ci vuole un po’ per delineare la trama di Nefando. Ojeda ha studiato letteratura e si vede. Pagina dopo pagina però la storia emerge: un gruppo di ragazzi condivide un appartamento a Barcellona, dalle loro menti esce un videogioco che in poco tempo diventa di moda, ma i contenuti sono troppo sensibili (diciamo così) e il videogame viene eliminato dalla Rete. A quel punto però la storia non finisce, anzi di fatto comincia: le esperienze di vita dei gamers entrano a far parte dei dibattiti del deep web, la fogna di Internet (sia detto con rispetto) dove si muove tutto quello che non può stare alla luce, ci sono spioni, truffatori e purtroppo anche maniaci sessuali della peggior specie.
Più che una recensione però sembra più un’“espansione” della scheda editoriale:
Nefando è un videogioco online rimosso dalla rete a causa del suo contenuto controverso. Le esperienze dei suoi giocatori sono ora al centro delle discussioni nei forum del deep web e ad alimentare il dibattito è il disaccordo tra gli utenti: era un gioco horror per nerd, una messa in scena immorale o un esercizio poetico?
che in realtà è decisamente fuorviante.
Nefando è sì un videogioco, ma il lettore non lo “incontra” mai, se non in brevi resoconti fatti dai videogiocatori nei forum del “deep web” (piccola parentesi: anche qui ci si sarebbe potuti attendere un’attenzione maggiore, dato che il gioco e i forum dei relativi giocatori sono presumibilmente da collocare nel “dark” piuttosto che nel “deep” web). Interessante il fatto che ogni resoconto racconti un’esperienza diversa e che il videogioco si trasformi a secondo dell’approccio del giocatore (e, dal punto di vista dell’appassionato/studioso videoludico questa è certamente la parte più interessante del romanzo). In effetti alcuni resoconti narrano della presenza, al suo interno, di filmati pedopornografici. Ma tale presenza, non riscontrata da parte di tutti i giocatori, è inficiata dalla rimozione del gioco dal Web (deep o dark che sia). Il romanzo è per lo più narrato attraverso le interviste condotte da un anonimo narratore ai giovani che sono stati testimoni e/o hanno contribuito alla creazione del videogioco: 6 giovani, quasi tutti studenti universitari con borsa di studio coinquilini in un appartamento a Barcellona. Presenti ed intervistati però sono solo 3: Kiki e Ivan, messicani, e Cuco, spagnolo. Kiki sta scrivendo un romanzo pornografico in cui sono coinvolti 3 preadolescenti che scoprono la sessualità in un modo perverso e deviato dalla sopraffazione e dalla necrofilia. Ivan si sente disgustosamente dominato dalla propria sessualità maschile e punisce il proprio pene quando diventa turgido perforandolo con punte e spilli fino a stare male. Cuco è l’unico non studente ma appassionato hacker appartenente alla demoscene, mantenendosi con furtarelli. È lui che s’incarica di sviluppare il videogioco partendo dall’idea degli altri 3 coinquilini: Irene, Emilio e Cecilia. Questi ultimi sono fratelli e figli di un rinomato documentarista ecuadoregno che fin da piccoli li ha costretti a subire esperienze BDSM filmandoli e facendo mettere a loro i filmati in rete. E sono proprio quei filmati dei tre bambini stuprati, seviziati, costretti a interpretare parti in esibizioni di coprofagia, bondage e violenza che i tre giovani senza vergogna mostrano ai coinquilini e fanno inserire nel videogioco. Nonostante che all’epoca della narrazione loro se ne siano già andati dall’appartamento e dalla Spagna, l’autrice ce ne fornisce delle testimonianze che non arrivano come le altre dalle interviste ai giovani rimasti a Barcellona ma che ci mettono direttamente nei panni dei tre fratelli mentre si estraniano dalle angherie del genitore, prima ancora psicologiche che sessuali, e dall’assenza o dal rifiuto di consapevolezza della madre.
Alla fine Nefando non è un romanzo su un videogioco. Non è un romanzo sul Deep (o Dark) Web. Nonostante la presentazione editoriale e nonostante la recensione di Olivo. Forse è una storia su come riuscire a raggiungere una consapevolezza, una pace sessuale superando le turbolenze e le contraddizioni dell’adolescenza. Non è un caso che a questa autoconsapevolezza giungano i fratelli, stuprati dal padre ed esposti nel loro essere violati agli sguardi lascivi del web, mentre non riesca a giungervi Ivan che non riesce a pacificare la sua transessualità nonostante per sua ammissione non possa addossare nessuna colpa a genitori premurosi. La sanità, l’equilibrio, sembra suggerire Ojeda non si ottengono con una infanzia felice, ma piuttosto riuscendo a domare i propri demoni, interni ed esterni. Seguendo David Cooper, per riuscirci occorre uccidere il padre. In questo caso forse anche in maniera letterale.

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