Sui social, tra gli appassionati di fumetti, sta riscuotendo ampia (e per lo più adirata) eco quanto affermato da Piero Dorfles nella trasmissione Le Parole (condotta da Gramellini, e già questo da solo è indicativo) di sabato 8 gennaio 2022.

Dorfles, in particolare a proposito dei fumetti, dice:

Ci sono età in cui le letture valgono in modo diverso; io sono convinto che il famoso topone Stilton sia un’ottima lettura per chi è giovane e, per certi versi, se dessimo lo stesso valore a chi, a cinquant’anni, legge Stilton forse sbaglieremmo misura.
Dall’altra parte c’è l’idea che, tutto sommato, se uno legge tanti fumetti ha comunque letto qualcosa.
La risposta è: Purtroppo no.
Questo perché sono due modi diversi di confrontarsi con la lettura. Leggere un romanzo è un lavoro più complesso; bisogna imparare a maneggiare qualcosa di molto più lungo, molto più impegnativo. Non è come il fumetto.
Quindi in realtà, secondo me, non si possono pesare i fumetti come se fossero romanzi, non è la stessa cosa.

Da più parti si lamenta che un medium importante editorialmente come il fumetto sia sminuito in questo modo. In realtà il ragionamento di Dorfles non parte da presupposti sbagliati. Ed è proprio per questo però che le sue conclusioni sono completamente errate.

Per capire le premesse da cui è partito Dorfles dobbiamo rifarci ad un libro uscito vari anni fa: Lettore vieni a casa di Maryanne Wolf (ne ho scritto diffusamente qui). Nel suo libro la Wolf spiega splendidamente il meccanismo neurofisiologico che si attiva tramite la “lettura profonda” e che ci consente di fare esperienza degli accadimenti di cui leggiamo come se li stessimo effettivamente vivendo. Proprio da qui parte Dorfles nella sua giusta rivendicazione delle letture profonde. Dove sbaglia non è qui, ma piuttosto nel confrontare due oggetti diversi e inassimilabili: un genere (il romanzo) ed un medium (il fumetto). Ci sono tanti romanzi banali che non ci costringono alla lettura profonda: quelli che una volta venivano definiti “d’appendice” o “pulp”. Ci sono d’altra parte tanti generi di fumetto, molti dei quali (sicuramente la maggior parte) di lettura non profonda, ma ve ne sono altri che sicuramente coinvolgono a fondo le capacità interpretative del nostro cervello e della nostra cultura.

Ad esempio proprio oggi ho letto la raccolta delle vignette pubblicate da Mauro Biani su la Repubblica nel biennio 2020/2021: Ne usciremo migliori ma… Una fantastica caratteristica di Biani è di concentrare in quasi ogni sua vignetta una pluralità di significati e di storie. Qualche volta in passato mi sono pure permesso di contattarlo per chiedermi di spiegarmi il significato di qualcuno dei suoi disegni uscito all’epoca su il manifesto. Nell’introduzione alla raccolta, Maurizio Molinari “spiega” una vignetta. Leggiamo:

C’è una di queste vignette che mi ha segnato. Ricordo come se Biani l’avesse disegnata ieri. È intitolata: “La catena della bici”. Vi si vede un rider su una bicicletta dove le ruote sono in realtà delle catene che lasciano intendere quanta schiavitù, quanta sofferenza c’è dentro una nuova generazione obbligata a lavorare fuori dalle regole, con paghe basse, diritti sacrificati, e poca speranza di un miglioramento della condizione economica.

Ma se guardiamo la vignetta relativa (la riporto assieme ad altre – malamente fotografate col cellulare – in calce al post) scopriamo che da una parte ci è richiesta una lettura intensiva e profonda che la spiegazione estesa fa perdere. Ed è qui lo sbaglio di Dorfles: non avrebbe dovuto distinguere romanzi e fumetti ma piuttosto narrativa di consumo da una parte e letteratura dall’altra. Tanto la narrativa di consumo quanto la letteratura possono essere espressi all’interno di qualsiasi medium. Per esempio ho letto di recente la trasposizione a fumetti da parte di Gou Tanabe di Le montagne della follia di H.P. Lovecraft. La scrittura lovecraftiana è mediamente dozzinale e non costringe certo il lettore ad impegnarsi in una lettura profonda. Ma all’interno delle sue storie c’è un immaginario potente che Tanabe arricchisce con le sue eccellenti doti grafiche trasformando la non eccelsa narrativa lovecraftiana in eccellente fumetto. Rimanendo alle vignette di Biani, esse non sono certamente riconducibili – a differenza di Le montagne della follia di Tanabe – al genere romanzo ma sono più accostabili alla poesia o all’epigramma. E vale la pena ricordare come il romanzo sia una forma letteraria relativamente recente, considerata, all’epoca della sua nascita, una forma letterariamente minore, adatta a chi aveva a disposizione minori strumenti culturali e concettuali rispetto alla forma nobile della poesia.

Ma, d’altra parte, non mi stupisce la banalità televisiva, tra l’altro preparata ed ispirata dalla domanda tendenziosa di Gramellini su fumetti e libri di cucina (due tipologie di libri negli ultimi mesi sempre presenti nelle classifiche di vendita): ma Dorfles non doveva lasciarsi abbindolare dalla domanda tendenziosa e invece si è abbandonato a gigioneggiare su Geronimo Stilton. Peccato, un’occasione persa per lui dato che fumetti e libri di cucina rimarranno in classifica, a differenza del suo libro…

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GOCCIA DI SAGGEZZA

Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson