Con Welcome to Raccoon City, la saga cinematografica di Resident Evil ritorna al classico. Paradossalmente in un momento in cui, con gli episodi settimo e ottavo (l’ultimo uscito quest’anno), cerca strade nuove in ambito videoludico (la prospettiva in prima persona, gli ambienti claustrofobici alla Silent Hill più che le orde di zombie da fronteggiare, ecc.). Per tornare al classico prende un autore e regista di horror a basso budget ed un gruppo di attori sconosciuti. Johannes Roberts prende spunto esplicitamente dai primi due Resident Evil videoludici confezionando un B-movie in cui la recitazione degli attori praticamente non esiste, dove la fotografia è un dettaglio non essenziale, dove la sceneggiatura è fedele ai videogiochi a livello di buchi ed incoerenze narrative. Sicuramente Welcome to Raccoon City non ha una protagonista come Milla Jovovich in grado, anche da sola (anche se pure qualche comprimario non è male) di reggere le sei pellicole dedicate alla saga da Paul W.S. Anderson. Se pensiamo al primo dei suoi Resident Evil, al terzo (anche se Extinction vede alla regia Russel Mulcahy, Anderson lo scrive e lo produce) ed al sesto abbiamo dei film ben costruiti, con un ottimo ritmo, una storia coerente e svariati momenti di piacere visivo. Anche nel caoticamente demenziale Retribution, Anderson riesce ad inserire dei gioiellini di regia.

Cosa che non capita assolutamente in Welcome to Raccoon City, anche se – paradossalmente – è proprio questo il suo punto di forza. Welcome to Raccoon City non ambisce mai ad essere un film. Gli basta essere una rappresentazione cinematograficamente fedele ed appagante dei primi Resident Evil ed in questo riesce discretamente bene. Riesce a far fare allo spettatore tanti bei salti sulla sedia e a fargli dimenticare per poco più di un’ora e mezza buchi ed incoerenze.

Questo però ci porta ad un quesito: l’unico modo per essere cinematograficamente fedeli ad un classico videoludico è realizzare un’opera cinematograficamente povera? Ovvero: il tasso di fedeltà al videogioco da parte dell’opera cinematografica che lo ri-media è necessariamente inversamente proporzionale alle sue ambizioni artistiche? Meglio il Resident Evil (e penso qui al primo) di Anderson con una storia coerente e con una riconversione dell’immaginario videoludico nella poetica action del regista (che si riconosce essendo sostanzialmente al stessa anche nel recente Monster Hunter) o meglio il Resident Evil di Roberts che non guarderemo mai per la storia emozionante, per le inquadrature audaci, per ammirare la recitazione, ma semplicemente perché ci riporta sul grande schermo Villa Spenser (con anche uno dei suoi più famosi enigmi), la stazione di polizia e le strade di Raccoon City armati solo di paura (oltre che naturalmente di pistole, mitra e dei buoni ed affidabili fucili a pompa)? Meglio Alice, in grado di dominare la scena, o meglio i vari Claire e Chris Redfield, Leon Kennedy, Jill Valentine, Albert Wesker, Lisa Trevor, William Birkin (e anche Ada Wong, ma questo è uno spoiler…) nessuno dei quali memorabile più di un qualsiasi corrispondente cosplayer in una Lucca Comics & Games? Eppure il dubbio rimane. Si sarebbe potuto essere altrettanto fedeli e essere cinematograficamente originali? Forse un esempio ce l’abbiamo. E si chiama Silent Hill

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GOCCIA DI SAGGEZZA

Dove il paradosso contamina i rapporti umani, compare la malattia.

~ Watzlawick, Beavin e Jackson