Ieri sera mio figlio tredicenne mi ha “trascinato” a vedere l’appena uscito Free Guy – Eroe per caso indorandomi la pillola con l’argomentazione che si tratta di un film sui videogiochi. È vero: è un film sul mondo videoludico, ma è vero anche che è un film pensato per una fascia di spettatori preadolescenti. Dubito che già un adolescente possa gradire. Tutto il film è infarcito non solo di stereotipi sul mondo del videogaming online, ma sono pure presenti i più famosi streamer (alla cui apparizione il figlio non mancava di fare la “ola”).
Sostanzialmente la trama vede un “personaggio non giocante” (png) del Massive Multiplayer Online Role Play Game Free City (una via di mezzo tra Fortnite e GTA Online) diventare improvvisamente autocosciente grazie alle routine di una build di un altro gioco utilizzata abusimavemnte per rendere Free City più ricco ed interessante. I creatori del gioco utilizzato abusivamente cercano le prove del furto di royalties aiutati da Guy, il png autocosciente (interpretato da Ryan Reynolds, già presente in Lanterna Verde, Ted e Deadpool), ex impiegato di banca, ma sono loro poi a dover aiutare Guy quando Antwan – l’editore di Free City decide di “spegnere” il gioco per evitare che il furto venga scoperto.
Il legame con qualcosa di più profondo della love story in-game (che potrebbe ricordare un po’ quella di Ready Player One, ma il riferimento al film di Spielberg è piuttosto nella figura del producer cattivo e senza scrupoli e nel mondo dei gamer che diventa spettatore della battaglia finale tra Guy ed il personaggio sviluppato da Antwan per sconfiggerlo) è piuttosto l’autocoscienza del personaggio del gioco che richiama un film che sicuramente la stragrande maggioranza degli spettatori di Free Guy non avrà né visto né sentito nominare: Nirvana di Gabriele Salvatores. Il motivo dell’ignoranza è sicuramente dato dall’anno di uscita (1997) ma anche dal fatto che il film di Salvatores trattando di videogiochi di quell’epoca, è oggi inevitabilmente “invecchiato” e non rientra normalmente tra le programmazioni delle reti broadcast e streaming. Però il tema è esattamente lo stesso: il personaggio di un videogioco che diventa cosciente della propria esistenza. Nel film di Salvatores, destinato ad un pubblico adulto, il personaggio chiede al programmatore di cancellare il gioco in cui è contenuto per evitare di essere duplicato in migliaia di esemplari. Nel film di Shawn Levy invece l’obiettivo di Guy è esattamente l’opposto: preservare la propria esistenza (consapevole) contro l’avidità del suo editore e la stupidità dei giocatori che utilizzano il gioco in maniera esclusivamente distruttiva. Da una parte abbiamo un modello di videogame inteso come prodotto prevalentemente seriale mentre dall’altra abbiamo invece quello di mondo virtuale condiviso che s’intreccia con ed influenza quello reale (come già in Ready Player One) anche modificando i media tradizionali costretti a dare spazio all’evento videoludico.
Con questo non sto segnalando la visione di Free Guy a chiunque abbia più di 18 anni (troppe le ingenuità e i buchi nella trama per chiunque non sia un fan di Fortnite e degli streamer che lo esaltano su Youtube e Twitch) ma sto piuttosto dicendo che film come questo sono la cartina al tornasole di come il videoludico stia ormai irrimediabilmente invadendo e modificando la percezione mediale del pubblico. A suo modo ci dice che i mondi videoludici sono più interessanti di quelli reali e i personaggi che li abitano più consapevoli dei tanti automi al di qua degli schermi.

Lascia un commento